La Cassa “Desideri” e… Prestiti

Non è casuale che quella che era, una volta, l’attività tradizionale della Cassa Depositi e Prestiti – il finanziamento delle spese di investimento di enti del settore pubblico con fondi assistiti dalla garanzia dello Stato – sia indicata come “gestione separata”. Per “separata” si può intendere tanto “segregata” quanto “distante”, tanto “non esposta ai rischi del mercato” quanto “appartenente al passato”.

Se si deve prendere sul serio l’endorsement del Presidente del Consiglio alla proposta avanzata da Franco Bassanini e Marcello Messori per la risoluzione dell’annoso problema dei debiti della P.A., bisogna immediatamente concludere che l’interpretazione corretta è la seconda. La proposta citata implica infatti, indirettamente ma inequivocabilmente, la possibilità per la Cassa Depositi e Prestiti di finanziare le spese correnti (avete letto bene, le spese correnti e non quelle di investimento) pregresse degli enti del settore pubblico con fondi assistiti dalla garanzia statale. Una proposta, come si dice, indecente che naturalmente finirebbe per costituire un disastroso precedente.

Se si vuole usare la Cassa Depositi e Prestiti per consentire un rapido pagamento dei debiti ancora in essere della P.A. la soluzione è semplice: si offra alla Cassa in garanzia il patrimonio immobiliare pubblico, a partire da quello di proprietà degli enti debitori. Com’è ovvio, emergeranno valutazioni diverse da quelle spesso ipotizzate (anche per le condizioni di mercato), ma sarà anche questa una utile lezione per il settore pubblico e per il Governo. Se lo Stato dispone di attivi utilizzabili per garantire o saldare i suoi debiti, non ha senso che si rivolga ai contribuenti per lo stesso motivo (e la cosa dovrebbe valere anche per Roma, non è così sindaco Marino?).

Il Presidente del Consiglio vorrebbe inoltre usare la Cassa Depositi e Prestiti per consentire che il credito ritorni ad affluire alle imprese. È curioso che questo lavoro lo debba fare la Cdp, e non le Fondazioni bancarie che sono pure azioniste della Cassa. Siano loro piuttosto a cedere la loro quota di Cdp (preferibilmente ad un investitore istituzionale estero: ne guadagnerà l’indipendenza di questo ente) e utilizzino il ricavato per ricapitalizzare gli istituti di credito.

Siamo pronti a riconoscere a chi ha gestito sin qui la Cassa Depositi e Prestiti d’aver fatto argine alle più disparate richieste della politica, che amerebbe usare l’Istituto di via Goito come un bancomat: ci sia da preservare l’italianità di Parmalat o da salvare il Monte dei Paschi di Siena. Ma non si può far conto solo sulla fibra morale delle persone: perché quelle passano, e invece gli enti pubblici restano. Non sorprende in altre parole che la Cassa Depositi e Prestiti si riveli, ogni giorno di più, come la principale mina vagante presente nel sistema economico italiano (e richiederà decenni per essere sminata, come andiamo dicendo da tempo). Ma quel che sorprende è che ascoltando il suo discorso programmatico avevamo inteso che il Presidente del Vonsiglio avesse la ferma intenzione di correre. Non di scappare (con la Cassa).

Tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:14