Per un “ritorno” della Democrazia

Risale ad ormai 25 anni fa la legge che sancisce, anche nel nostro Paese, la responsabilità civile dei magistrati, una legge da taluni considerata insufficiente e di cui, più volte, si è proposta la riforma, ma che, in ogni caso, ha introdotto un sistema di tutela e di risarcimento del danno a sanzione e correttivo degli eventuali errori commessi dal magistrato. Nessun sistema di tutela sembra, invece, ancora esistere contro gli errori e gli abusi della politica e, soprattutto, contro lo stato di diffusa ignoranza dello stato della cosa pubblica in cui continua ad essere tenuta la popolazione. Facciamo un esempio, il più banale.

Sebbene la cattiva qualità della legislazione sia riconosciuta dall’Ocse come uno dei principali ostacoli alla crescita economica e, nel caso italiano, costituisca anche una delle più rilevanti cause di perturbazione dell’equilibrio dei poteri costituzionali, nessuna forza politica nel nostro Paese sembra volersi far carico di questo ben noto problema. Sembra non interessare nemmeno che il nostro diritto penale, invece di essere contenuto in un codice di agevole consultazione e comprensione per tutti, cittadini e stranieri, sia disperso in migliaia di norme sconosciute ai più e, sovente, di ardua interpretazione.

Si è scritto, per spiegare il fenomeno, che nella realtà di questo scorcio di secolo le norme riflettono solo una volontà contingente e transeunte e che la proliferazione delle leggi speciali risponde alla tendenza al superamento delle tradizionali forme di organizzazione sociale, dominate dal potere dello Stato nazionale e dei ceti intellettuali borghesi.

Belle parole indubbiamente, frutto di analisi senz’altro approfondite, che sembrano però dimenticare che i processi legislativi e le norme conseguenti riflettono, soprattutto, i caratteri del rapporto intercorrente tra classe politica, i soggetti destinatari delle norme e la magistratura chiamata a dare loro applicazione.

Una normativa agile ed efficiente, capace di risolvere i problemi senza crearne di nuovi è, quindi, possibile solo in un sistema virtuoso, in cui le esigenze sociali siano effettivamente recepite dalla classe politica e le norme create in funzione di bisogni reali, senza mai essere frutto dell’arbitrio, dell’invenzione o dell’abuso del legislatore. Il rapporto tra classe politica e corpo elettorale deve, quindi, senza per questo misconoscere o sottovalutare il ruolo dei tecnici nell’elaborazione dei testi normativi, ritenersi determinante della qualità e della natura della legislazione e le crisi di questo rapporto importano, innanzitutto, notevoli ripercussioni anche sullo stato complessivo dell’ordinamento normativo.

Questa crisi, evidentissima da anni, è ulteriormente aggravata nel nostro Paese dallo stato di assoluta ignoranza in cui gli italiani versano a proposito delle ragioni delle iniziative legislative e dalla loro incapacità di valutare, se non dopo anni, l’effettiva qualità e utilità dei provvedimenti adottati. Nessuna legge è, infatti, nel nostro ordinamento accompagnato da una chiara motivazione in cui il Parlamento o i Consigli regionali spieghino al cittadino per quali ragioni hanno voluto la norma approvata e a cosa effettivamente serva quel precetto.

L’idea di una “motivazione” della legge non è nuova e, in passato, alle ragioni addotte in senso contrario si poteva riconoscere una indubbia fondatezza. Oggi, però, con la crisi dei tradizionali modelli di rappresentanza politica, la sua introduzione potrebbe favorire l’affermazione di un nuovo modello di processo di formazione degli atti normativi, maggiormente partecipato e sensibile alle esigenze dei cittadini, e la diffusione di più incisive forme di controllo sull’attività del legislatore. Forse in un futuro non remoto potrà essere affermata la responsabilità dello Stato anche per i danni ingiusti derivanti ai cittadini da una legge “oscura” o “contraddittoria”, certamente, perché si possa procedere verso quella Democrazia che gli italiani e l’Italia meriterebbero, bisogna finalmente mettere da parte i molti stereotipi culturali che continuano ad influire negativamente sul Governo del nostro Paese e fare una scelta decisa verso modelli di gestione del potere in cui partecipazione e trasparenza non rimangano solo belle parole.

(*) Magistrato, direttore di “Nova Itinera”

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:10