
Mettono spavento quelle menti che costruiscono il “loro” colpevole e hanno la faccia tosta di sostenerne pubblicamente la responsabilità fino all’inverosimile; così come è meglio tenersi lontani da quei soggetti intrisi da un giustizialismo indefesso che non smettono di condannare un soggetto ancor prima della sentenza di primo grado. Ed è altrettanto agghiacciante quando viene messo in croce il presunto responsabile, colui cioè che “ha tutta l’aria” di essere il colpevole e che, comunque, “non può che essere stato lui”. Inchieste, indagini, storie processuali molto spesso basate non su prove ma su indizi legati a valutazioni soggettive più che a certezze inconfutabili che, così ci gira, osiamo definire semplicemente come prove.
Già, le prove: gli indizi, i sospetti, le dicerie, finanche le semplici sensazioni dei vicini di casa oramai costituiscono (anzi, sostituiscono) le prove schiaccianti che dovrebbero essere alla base della condanna di un soggetto criminale. Quando l’inchiesta arranca, si tende ad indagare sul soggetto che “più probabilmente”, più o meno “a naso”, è potenzialmente l’autore del reato.
Si sta vedendo e assistendo a tutto: arrembaggi in alto mare per fermare la nave con la quale sta fuggendo l’assassino (che poi tale si rivelerà non essere), migliaia di (costosissime) analisi di dna con risultati pari allo zero, morsi sul seno impressi con una dentatura il cui arco dentario si è rivelato diverso da quello dell’accusato, intercettazioni delle quali si travisa (o, addirittura, non si capisce totalmente) il contenuto, computer analizzati nella loro attività per basare un’accusa sull’impiego o meno degli stessi al momento del delitto, coltello (probabile arma del delitto) sul quale spuntano tracce del dna della presunta omicida ma non quelle della vittima, e l’elenco potrebbe andare avanti all’infinito.
Poi leggi Panorama e trovi anche un ex agente segreto che, tra l’altro, afferma che “la maggior parte dei casi di cronaca che sono rimasti insoluti in questi ultimi anni in Italia, sono stati solo oggetto di perizie e studi scientifici che in sede processuale sono risultati facilmente smontabili e non di vere e proprie indagini. Ovvero di ricostruzioni strutturate e logiche del delitto”.
E il cerchio, come al solito, purtroppo si chiude: chi sbaglia impostazione (presunti colpevoli inclusi) di un’indagine non rende mai conto in nessun modo (e, anzi, spesso, spreca anche soldi pubblici rovinando, nel contempo, vite e carriere), mentre si allunga inesorabilmente la lista di delitti senza colpevoli.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:14