Marino sull’orlo di una crisi di nervi

I problemi di Roma da salvare si sono fatti solidi, materialmente presenti tra di noi. Stanno giù, in basso nelle viscere della società, sulla scena delle strade fangose, limacciose, sporche, imbrattate, colme di rifiuti. Nella nuova Roma dei pochi mesi del sindaco Marino non funziona niente. Si sono fermati, praticamente dal giorno dell’insediamento, anche i tabelloni elettronici dell’arrivo dei bus alle fermate. È aumentato il numero delle manifestazioni bloccanti strade, traffico, percorsi, appuntamenti e vita e non a causa di quelle a carattere nazionale, che hanno una propria quota autonoma. Sono esplose quelle capitoline, con tanto di corteo di vigili e poliziotti in sciopero, giustamente scortati dai loro colleghi.

Traballa Pisapia e precipita nell’inferno senza appello De Magistris sotto i dati presentati dalla Corte dei Conti. Quello di Marino è però un record, innanzitutto temporale. Nessuno in così poco tempo era riuscito a scendere tanto. Nemmeno Carraro che a sua giustificazione portava l’imprinting del colonialismo meneghino. Nessuno era riuscito a crollare senza sostanziali attacchi mediatici politici, quelli che su Alemanno erano stati acquazzoni continui, spesso strumentali, prima solo di sinistra, poi di sinistra e di destra. Marino è riuscito a fare tutto da solo, tanto che l’idea che un Salva- Roma parlamentare sia un Salva-Marino sta facendo venir voglia di default anche ai romanisti.

Perché Marino non solo appare inutile, arrogante, improbabile, ma soprattutto antipatico. Su Marino per lo più incombe un doppio rischio default. Roma è già commissariata per il debito, grazie al dl 112/2008 che spacchettò il debito precedente di 20 miliardi (che dovrebbe estinguersi tra più di 30 anni), ridando verginità al bilancio della Capitale. Ora il debito è tornato a galla, oltre il miliardo, spinto dal rosso di 700 milioni dell’Atac e di quello delle altre delle 70 municipalizzate. Lo stesso Salva-Roma, bloccato in Parlamento, era incerto. I suoi 485 milioni erano destinati a coprire il debito pregresso, non il bilancio corrente. Il sindaco però ne ha bisogno per l’ordinaria amministrazione tanto da aver minacciato, sull’orlo di una crisi di nervi, di bloccare la città. Il nuovo provvedimento, anche se di importo inferiore, non intaccherà il debito commissariale precedente. Se non arrivasse, ci sarebbe il caso storico del doppio commissariamento carpiato, della doppia bocciatura del sindaco, che diverrebbe Montano e Lacustre. Un caso capitale, anzi un caso di commissariamento Capitale. Non è detto che sarebbe un male.

Nessuno tra i politici romani si è mai chiesto e si chiede perché la Capitale debba finire ogni anno con 2 miliardi di debiti strutturali; perché Roma e con essa il Lazio non possano produrre di più, potendo contare sulla stragrande maggioranza statale di beni architettonici, museali, archivistici, bibliotecari, tutt’oggi contabilizzati alla ridicola cifra di 3 miliardi. Una Capitale commissariata potrebbe chiudere tutte le municipalizzate, riportandone i dipendenti nel naturale emiciclo comunale; potrebbe parificare livelli, carriere ed emolumenti (e non se ne accorgerebbe nessuno) e potrebbe fare a meno delle consulenze. Misure che porterebbero al risparmio del miliardo di cui sopra. Misure draconiane, sulle quali, pur di liberarsi del Marino, potrebbe essere trovato l’accordo Capitale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:07