
Da qualche giorno fa capolino su tutte le tivù italiane un poco rumoroso spot del governo. Informa i cittadini su un prossimo sistema di prelievo del Dna, e per meglio contrastare il crimine. Ci dice che grazie a questo prelievo sarà facile risolvere casi di violenza sessuale, omicidio e rapina, quando sulla scena del crimine venissero rinvenute tracce biologiche. Da queste ultime sarebbe possibile risalire al profilo genetico dei presunti presenti sulla scena. Ma la pubblicità è solo l’anticipazione di quanto verrà illustrato nel sito web del “Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le Biotecnologie e le Scienze della Vita”: a questa struttura è stato affidato il compito di chiarire il sottile confine tra sicurezza e privacy.
Per il prossimo autunno dovrebbe scattare l’obbligo, per tutti gli schedati negli archivi interforze della polizia criminale, di consegnare la “minima prova biologica”, che permetta, insieme a foto segnaletica e impronte digitali, la tracciabilità genetica dello schedato. Ovviamente lo spot illustra solo i vantaggi per il cittadino: ovvero sicurezza in senso lato, prevenzione e repressione del crimine. Ma nessuno s’è sollevato per spiegare come questa normativa entrerà a gamba tesa nelle vite di chi, suo malgrado, s’è ritrovato schedato. Soprattutto, nessuno sta rammentando che la schedatura non significa assolutamente una condanna certa. Tantissimi gli arrestati poi scagionati da ogni accusa, vuoi perché il fatto non costituisce reato vuoi perché totalmente estranei alla vicenda: ma negli archivi della polizia sono rimaste le loro foto segnaletiche e le impronte digitali.
Il difficilissimo iter burocratico di cancellazione dei dati personali dagli archivi della “polizia criminale interforze”, è il miglior deterrente perché l’uomo di strada non avvii una “richiesta di cancellazione” dal “servizio informatico Ced interforze”. Oggi la novella “Banca dati nazionale del Dna” italiana, in concomitanza a quelle già istituite negli altri Paesi Ue, raccoglierà il genoma non solo dei condannati, ma anche di imputati e semplici indagati: tutto in osservanza della legge n. 85 del 2009 (G.U. n. 160 del 13 luglio 2009 - Supplemento ordinario n. 108), recante norme in materia di “adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27 maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d’Austria, relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale (Trattato di Prum). Istituzione della banca dati nazionale del Dna e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna. Delega al Governo per l’istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria. Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale”.
Allo studio sarebbero, ma nessuno ce lo viene a raccontare, le modifiche di legge per permettere in maniera coercitiva di raccogliere il Dna degli schedati. In ogni città italiana sarebbero già pronti i centri di raccolta: a Roma, oltre al carcere di Rebibbia, avrebbero già approntato altri cinque ambulatori biologici sotto l’egida di Ps e Penitenziaria. In Puglia dovrebbero essere attivi in ogni provincia, in Calabria solo a Reggio e Catanzaro, in Sicilia a Palermo e Catania, in Campania in ogni capoluogo di provincia, nel resto d’Italia la situazione sarebbe critica solo a Milano, Genova e Torino. Nel mirino dei cacciatori di Dna vi sarebbero proprio tutti gli schedati, da chi negli anni ‘70 arrestato arbitrariamente durante una manifestazione fino al ragazzotto arrestato per sbaglio davanti allo stadio. Una pesca a strascico liberticida, e con tanto di placet dell’Unione europea.
Gli articoli 15 e 16 della normativa in materia prevedono che il controllo sulla banca dati italiana del Dna venga esercitato dal “Garante per la protezione dei dati personali”. Il “Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita” (Cnbbsv) si sarebbe ritagliato il solo obiettivo di garantire “l’osservanza di criteri e norme tecniche per il funzionamento del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna”.
Secondo Luigi Pagano, vicecapo del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria), che ha replicato a un articolo de Il Fatto Quotidiano: “Sono stati realizzati in tutti i 207 istituti della nazione i gabinetti per il prelievo dei reperti biologici, sia dei detenuti già presenti che degli ingressi futuri, formato il personale, creato, presso la C.R. di Rebibbia, il laboratorio centrale completandolo di attrezzature tecnologicamente all’avanguardia; terzo, il laboratorio allo stato non è fermo, bensì, sono in corso le procedure per l’accreditamento dello stesso che saranno avviate dai biologi della Università di Tor Vergata; quarto, le procedure concorsuali per l’assunzione dei ruoli tecnici della Polizia Penitenziaria, infine, avranno inizio non appena saranno varati, dai competenti organi, i regolamenti attuativi”.
Ma nessuno dice che il ministero dell’Interno, facendo il verso ai decreti attuativi di molti Paesi Ue, potrebbe costringere tutti gli schedati a presentarsi obbligatoriamente ai “Centri di prelievo”. Chi omettesse di farlo entro la data limite incorrerebbe in denunce all’autorità giudiziaria, nonché sanzioni, ammende, pene detentive. Dal ministero dell’Interno trapela che “la conclusione dell’iter di tale schema di regolamento è prevista per entro il primo semestre 2014”. L’amministrazione dell’Interno ha anche indetto tre gare pubbliche in ambito comunitario, per l’acquisizione di materiale informatico e formativo: il tutto per avviare il programma finalizzato alla certificazione di qualità dei servizi forniti dalla “Banca dati nazionale del Dna, a norma ISO 9001 e ISO 27000”.
È previsto anche il completamento della formazione delle forze di polizia da abilitare su tutto il territorio nazionale. E tra le aziende fornitrici in corsa figurerebbe anche l’industria specializzata in “braccialetti elettronici”: detenere la gente sta diventando un vero affare. Il “Laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna” sarebbe già attivo, grazie alla convenzione stipulata nel 2010 con l’Università di Roma Tor Vergata: vede impegnato un gruppo di lavoro con borsisti, ricercatori, poliziotti e carabinieri (a questi ultimi il coordinamento tecnico, come da provvedimento del Dap del 12 febbraio 2013). Il futuro ci parla di una sempre più pressante schiavitù genetico-cibernetica, almeno per le masse. Per i figli dei potenti sarà sempre possibile qualche amichevole indulgenza… la manina buona che fa sparire la schedatura. Occorre che ogni onesto schedato si opponga passivamente a questa norma liberticida, rifiutandosi di consegnare il proprio codice genetico.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:07