
Lo scontro Beppe Grillo-Luigi Gubitosi sulla gestione della Rai va interpretato sulla base di quello che si sta muovendo nel mondo della comunicazione televisiva. Grillo davanti al palco dell’Ariston a Sanremo aveva sparato grosso: “La Rai ha 13mila dipendenti, costa un miliardo e 700 milioni ma dà un miliardo e 400mila euro in appalti esterni. Subitosi ha portato le perdite dell’azienda da 200 a 400 milioni, ha fatto un buco doppio di quando è entrato”.
La risposta è arrivata da una nota letta dal capo ufficio stampa della Rai, Fabrizio Casinelli: “I dati di bilancio della Rai che Grillo ha riportato sono falsi e visibilmente irrealistici”. Gubitosi ha aggiunto che quella di Grillo è “un’aggressione costante e ingiustificata alla professionalità di migliaia di persone che lavorano in Rai e che da direttore generale non posso accettare. Se ha ragione lui e il bilancio è peggiorato e chiude con 400 milioni lavorerò un anno gratis e devolverò il mio stipendio in beneficenza alla Onlus che Grillo indicherà. Se non è così, Grillo devolverà pari somma alla Fondazione Lucchetta Ota D’Angelo Hrovatin o al Premio Ilaria Alpi”.
Siamo, come si vede, su posizioni paradossali e di polemica mediatica. Non aiutano a comprendere il vero motivo dello scontro. Grillo sta portando avanti una battaglia all’insegna di “riprendiamoci il servizio pubblico senza partiti e senza pubblicità”. Il direttore generale Gubitosi difende la conservazione, la vecchia gestione. Tuttavia c’è qualcosa che bolle in pentola. Lo si ricava dall’intervista di Matteo Renzi al giornalista del Corriere della Sera, Aldo Cazzullo. Il segretario del Pd e premier incaricato parlando di viale Mazzini ha detto che “la Rai merita una rivoluzione”. Un concetto ribadito dal consigliere di amministrazione in quota Pdl-Lega, l’imprenditrice umbra Luisa Todini, secondo la quale occorre farla finita con trattative su nomi e programmi, ma occorre un amministratore delegato e non nove consiglieri di cui il presidente scelto da Palazzo Chigi, uno dal ministero del Tesoro e gli altri sette dai partiti. È inutile, secondo Todini, progettare di nominare nuovi direttori e di procedere al solito ribaltone. Tutto superfluo e uguale a prima se non si cambiano le regole del gioco”.
La Rai è un caso unico di come non si amministra una società. Soprattutto di informazione, comunicazione e intrattenimento. È vero che tutto il settore dell’editoria risente della crisi: la stagione della raccolta pubblicitaria si è chiusa nel 2013 con un meno 12,3 per cento. Per la prima volta Mediaset ha chiuso in rosso per 307 milioni, TI Media (editore di La7 poi finita a Urbano Cairo che la sta rinnovando con forti tagli ma senza colpire i dipendenti) ha perso 241 milioni. Sky Italia perde 35 milioni.
Per mamma Rai le perdite non saranno forse quelle indicate da Beppe Grillo, ma Gubitosi non può negare che il buco certificato nel bilancio 2012 è di 244 milioni. Sugli appalti Grillo è meno duro e polemico dei sindacati interni: basta leggere qualcuno dei comunicati di Snater, Ugl, Cgil, Cisl e Uil. Il direttore generale dovrebbe poi spiegare il crollo della radio. Nella classifica delle emittenti nazionali più ascoltate nel giorno medio per l’intero 2013 (dati Radio Monitor di Gfk Eurispo), Rai Radio1 è precipitata al sesto posto con 4 milioni e 204mila ascoltatori, Rai Radio 2 al settimo con appena 2.948.000 ascoltatori, mentre Rai Radio 3 è quindicesima con 1.363.000 ascoltatori. Non va bene neppure l’ascolto di Sanremo: meno 15,7 la prima serata, meno 9 la seconda con meno di 8 milioni di telespettatori nonostante la presenza di Claudio Baglioni.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:08