Il dopo-E. Letta, rabbia e orgoglio

Poche parole dedicate ad Enrico Letta, uomo dell’Italia; tra i pochissimi che si è distinto per rigore, compostezza, capacità, carisma istituzionale, eleganza politica. Tutte doti assenti nei venditori di cioccolatini, di false idee, di patetiche speranze. Numerosi somari si spacciano per esperti, per tecnici della materia, più o meno legati ai partiti, ma raccolgono solo fallimenti.

Certo, il mio omaggio al dottor Enrico Letta è poca cosa, ma se mi paragono al vecchio che rimane: Tabacci, Franceschini, Boeri, Barca, Emiliano, De Luca, Bonino, Orlando, Realacci, Epifani, ed al nuovo che avanza (gli omologhi della Carfagna e della Comi) Renzi, Boschi, Nardella, Carbone, Biffoni e Marianna Madia (presentata da Veltroni come grande esperta di economia; non riesce a dire come si chiama) potrei essere paragonato a sir Isaac Newton. Per non parlare delle truppe berlusconiane. Voi personaggi di false appartenenze (financo il prof. Mario Monti si è accorto che destra e sinistra sono coordinate ottocentesche, prive di significato ed orientamento). Voi tutti sia direttamente (Renzi e la compagnia dei farisei), sia indirettamente (Alfano e la Compagnia dei poltronisti) che avete defenestrato Letta pensando ingenuamente di abbagliare il popolo sovrano, rappresentate soltanto il declino dell’ispirazione politica, la decadenza del conoscere, la morte del rinnovamento del sapere, l’avventura verso l’abisso.

L’Apocalisse non è dietro l’angolo è già presente. La rivoluzione alla Nutella, il cosiddetto cambiamento, la svolta, la scossa (come diceva nientemeno che Scajola; sì Scajola, quello che non sapeva che gli avessero pagato l’appartamento), si consuma in una colazione in mattino di una giornata plumbea. Gli italiani sanno che abbiamo un debito pubblico da record, che il decentramento (la democrazia a dimensione territoriale) costa ai 24 milioni di lavoratori italiani 540 miliardi l’anno (per servizi da Terzo Mondo), che 12 milioni di lavoratori e pensionati prendono gli ordini dai tre segretari dei tre sindacati italiani più rappresentativi, che il presidente dell’organizzazione degli imprenditori (Confindustria), al secolo Squinzi, sa solo dire che ci vuole più coraggio. Lui dovrebbe avere il coraggio di ammettere che è totalmente inadeguato alla bisogna. Gli italiani, salvo i 3 milioni di babbei che hanno partecipato al giochino dell’oca delle primarie del Pd, sanno che quelle banalità urlate a cielo aperto di Renzi ci aiuteranno a precipitare ancora di più nell’abisso. Il sindaco-presidente del Consiglio pur avendo sostenuto l’esame di Diritto costituzionale (contesta i membri della Corte Costituzionale) non ha letto Dahrendorf, Popper, Kuhn, Gunnar Myrdal ecc. e non sa o non ricorda che nel 2008, cresceva anche l’esposizione al credito concesso dalle banche, alle imprese e alle stesse famiglie (ai fini del consumo), favorita dai tassi d’interesse ridotti e dalla facilità nella concessione dei prestiti. Il ricorso alla sottoscrizione dei mutui a basse garanzie (subprime), sottoscritti anche da persone agiate che confidavano in consistenti guadagni, si fece sempre più frequente, venendo concessi dalle banche spesso con la consapevolezza di non poter essere rimborsati: il trading dei subprime crebbe dal valore di 145 miliardi del 2001 ai 635 miliardi del 2005.

Anche i grossi istituti finanziari, le banche di investimento in particolare, presero a indebitarsi a breve termine per realizzare operazioni speculative. Tutto ciò era favorito, soprattutto con riguardo alle più massicce attività di compravendita azionaria, dalla creazione di “sistemi bancari ombra” (sistemi di intermediazione creditizia costituiti da entità e attività operanti al di fuori del normale sistema bancario), messi in opera dalle stesse banche, che sfruttavano spazi di contrattazione non regolamentati (le cosiddette dark pools) e specializzati nella raccolta e nell’investimento di prodotti e sotto-prodotti finanziari strutturati, oltreché derivati finanziari. Tra il 2010 e il 2011 si è conosciuto l’allargamento della crisi ai debiti sovrani e alle finanze pubbliche di molti Paesi (in larga misura gravati dalle spese affrontate nel sostegno ai sistemi bancari), soprattutto ai Paesi dell’eurozona (impossibilitati a operare manovre sul tasso di cambio o ad attuare politiche di credito espansive e di monetizzazione), che in alcuni casi hanno evitato l’insolvenza sovrana (Portogallo, Irlanda, Grecia, grazie all’erogazione di ingenti prestiti (da parte di Fmi e Ue), denominati “piani di salvataggio”, volti a scongiurare possibili default.

Il flauto magico dell’ormai antico “nuovo che avanza” può abbagliare i portaborse, i portatori sani della sindrome della dipendenza dal capo del momento, quei somari commentatori che affollano il video nelle noiose serate dell’intrattenimento televisivo, quei raccomandati partecipanti alle trasmissioni dei truffatori dell’informazione (si tratta di pochi monarchi inamovibili buoni per tutte le stagioni, come i commis di Stato). Sì, proprio loro, i formatori dell’opinione pubblica che ci tediano le serate con le loro analisi da condominio, con le loro dotte idiozie, con la loro ignoranza dei fenomeni sociali ed economici, con la loro eterna abitudine a collezionare errori di valutazione (è scoppiata la democrazia, dopo due giorni titolano: il regime risorge).

Letta poteva essere una speranza e la speranza ha bisogno di tempo. I famelici del tutto e subito hanno fatto una brutta fine. E allora io vi dico, cialtroni senza futuro, date almeno una volta un senso alle vostre nullità: tutti insieme zavorra di sinistra e di destra (il centro si è liquefatto da solo), quando verrà il momento, riparate almeno in parte ai danni causati agli italiani di ogni bandiera, eleggete il dottor Enrico Letta Presidente della Repubblica, almeno una volta all’estero faremo una bella figura. Ma lo vedete Renzi, in maniche di camicia, che vomita ai fondamentalisti del Pd quella sequela di ovvietà, trovarsi nei consessi internazionali dove si disegnano i destini del mondo, lui che ha sostenuto l’esame di Diritto costituzionale. Ma siate seri, altro che le barzellette di Berlusconi, siamo proprio alle madrigali di Apicella. Questo gesto ovviamente non vi salverà dalla vostra pochezza, ma almeno si potrà dire che una cosa buona, anche voi, l’avete fatta, nonostante il legittimo disprezzo degli italiani. Alfano partecipa al Governo Renzi in base al programma? Allora il Governo Letta, al quale Alfano ha partecipato convintamente per salvare l’Italia, non aveva un programma o forse non era condiviso da Alfano. Alfano ci dovrebbe spiegare cosa cambia se il ministro del Lavoro Giovannini viene sostituito da Epifani (che ha collezionato un alto numero di errori nella sua vita sindacale a detta della Fiom), se il ministro dell’Economia Saccomanni viene sostituito da Barca o da Boeri, come può migliorare le sue performance il ministro degli Esteri Bonino (l’unica cosa positiva aver liberato Luxuria).

Alfano con Renzi riuscirà ad assicurare il reddito di cittadinanza o il reddito minimo garantito, riuscirà ad abolire l’Irap? Come vorrebbero i nuovi rivoluzionari di regime. Ascoltiamo in povertà i tamburi della propaganda, vecchi e nuovi predicatori presentano ad intermittenza l’elenco dei buoni propositi, la riformulazione di sistemi e dottrine. Con ottusa, monotona uniformità si continuano ad occupare dell’ovvio. È definitivamente scomparsa la polarizzazione ideologica. Il vocabolario rivoluzionario ha lasciato il posto a quello dell’economia, del pragmatismo, a quello più concreto della difesa degli interessi, della salvaguardia della qualità della vita. Come ha detto con efficacia Popper: “Noi non siamo studiosi di certe discipline, bensì di problemi. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi materia o disciplina”. Renzi dice che dobbiamo prendere il vento in faccia e che si diventa grandi quando si comincia a fare cose che non ti piacciano. In faccia può prendere solo una torta, se va bene. Io sono rimasto piccolo visto che mi piace sostenere ciò che qui dico.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:15