Il “Gattopardismo” del “Rottamatore”

La direzione del Partito Democratico, di cui Enrico Letta è stato vicesegretario per diversi anni, archivia il suo Governo. Probabilmente non era mai successo che un partito sfiduciasse il suo Premier.

La storia recente della sinistra e del nostro Paese più in generale è ciclica e con tutte le probabilità anche Matteo Renzi, sostenuto dalla stessa maggioranza che sosteneva Letta, farà il capo del Governo per essere poi liquidato dai suoi stessi “compagni” o dagli alleati. Si è con tutte le probabilità bruciato, cadendo nel trionfo del “gattopardismo” e comportandosi esattamente come quelli che aveva ferocemente criticato fino a pochi mesi fa. Oggi infatti la maggior parte degli italiani, secondo i sondaggi, non approva la sua mossa e non crede che il Governo Renzi possa durare più di un anno.

Oppure sarà proprio, nello stupore generale, il giovane sindaco di Firenze il grande rivoluzionario che inizierà a cambiare l’Italia, un Paese che vuole cambiare quanto non vuole cambiare, o meglio, dove una parte maggioritaria di esso sostiene sempre e comunque il cambiamento, contrastato però puntualmente dai tanti poteri tanto più forti. Una cosa deve essere chiara sin da subito al nuovo Esecutivo e a quelli che verranno nei prossimi anni: non si può usare la spesa pubblica come enorme strumento per catturare consensi.

Chi va al Governo oggi deve avere chiare due cose: anzitutto che la spesa va tagliata ad ogni costo; e in secondo luogo che senza un notevole abbassamento della pressione fiscale, il Paese non vedrà la ripresa. La concorrenza nella vita socio-economica italiana, nonché la libera competizione nei mercati, devono sostituire il corporativismo regnante. Non servono dei geni a comprendere queste due semplici e banali ricette d’indirizzo liberale, ma bisogna tenere ben presente che le resistenze dei cosiddetti poteri forti in Italia sono di una forza incredibile e quasi sempre vincono. Senza tenere poi conto dello strapotere, rispetto alla nostra sovranità nazionale sempre più frivola, dell’Europa, dei partner internazionali e della finanza che controlla i nostri titoli di Stato e non solo. Difatti questo cambio alla Presidenza del Consiglio non lascia sperare bene proprio perché è il terzo in tre anni, non democraticamente legittimato dal corpo elettorale considerando che l’ultimo presidente eletto fu Silvio Berlusconi nel 2008.

Il partito di Renzi e Letta ha approvato un documento che chiede una “fase nuova, con un nuovo Esecutivo”, riscuotendo un successo plebiscitario al suo interno, ha infatti ottenuto 136 voti a favore, 16 voti contrari e 2 astensioni. Tutti voti per le riforme. Ma nuovo non vuol dire nulla e non è detto che il nuovo sia migliore del vecchio, come non è minimamente detto che il cambio della figura o delle figure alla guida del Governo e dei dicasteri sia incisivo o tantomeno risolutivo rispetto al problema.

Sì perché, pensandoci bene, come continua ad affermare in questi giorni Alan Friedman menzionando “Il Gattopardo”, in Italia tutto cambia perché tutto resti com’era; la maggioranza che sosterrà Matteo Renzi sarà molto probabilmente la stessa che ha sostenuto sino ad oggi Enrico Letta e quindi non c’è prospettiva che le cose cambino. C’è da sperare che quantomeno venga approvata il prima possibile la riforma della legge elettorale trasversalmente condivisa, così che male che vada si possa andare ad elezioni quanto prima.

Ristabilire un minimo di regolarità democratica in questo Paese lacerato non sarebbe male. Non ci si può permettere di non votare, quindi di non scegliere la maggioranza parlamentare che sosterrà con forza e decisione il suo leader, fino al 2018. L’Italia è ancora lontana da una parvenza di stabilità.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:07