
È necessario che per comprendere la vicenda che riguarda il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e le sue presunte ingerenze nella vita politica dell’Italia si tenga sempre al centro dell’analisi il ruolo esercitato nel 2011, e più in generale negli ultimi 3 anni, dai partner europei e stranieri. Sicuramente Napolitano è tra i capi di Stato che più hanno condizionato il Paese, ma il problema non è stato solo questo, considerato che tutti gli hanno chiesto di accettare un secondo settennato. Una chiara comprensione della storia che comprende il lasso di tempo che va dalla primavera 2011 alla caduta “forzata” dell’Esecutivo di Silvio Berlusconi, sino all’insediamento del Governo Monti, includendo le sue politiche, non può prescindere dal fare attenzione al ruolo di alcuni protagonisti del G8 e più precisamente della dominante Germania di Angela Merkel.
I fatti encomiabilmente raccontati e descritti, con precisione anglosassone, da Alan Friedman sul Corriere della Sera, sul Financial Times e nel suo “Ammazziamo il Gattopardo” li conosciamo e non sto a ripeterli. Forse la videointervista del giornalista americano al senatore Monti, nella sua parte conclusiva, è raffigurativa di quello che è stato compiuto in quella fase, più di qualsiasi racconto, l’espressione del volto di Mario Monti quando si rende conto di aver messo nelle “peste” il suo amico Giorgio Napolitano è chiarissima. Come abbiamo detto più volte anche su “L’Opinione”, non è un mistero che nelle stanze dei bottoni della “democratica” Europa sieda un’oligarchia politica principalmente rappresentativa dell’oligopolio finanziario dei mercanti.
Non è un segreto che la politica nel mondo sia ormai dominata dalle banche e dai poteri forti legati alla finanza, ma c’è invece da riflettere approfonditamente sulla sovranità nazionale delle nazioni parte dell’Unione e non soltanto, c’è da preoccuparsi per una generale cessione delle sovranità nazionali ed in particolare per una generosa cessione della nostra. Margaret Thatcher oggi potrebbe dire: “ve lo avevo detto!”, che quest’Europa non aveva in programma di fare nulla di liberale e tantomeno nulla che conservasse con rispetto le identità dei popoli che la costituiscono, il suo “no, no, no” fu sintomatico. Mario Monti di questi temi ha parlato sin da quando era Rettore della Bocconi, con grande tranquillità e pacatezza, lasciando intendere sempre che cedere gradualmente i poteri di una nazione come l’Italia all’Unione Europea non fosse nulla di strano, ma il naturale progresso delle cose. Con la stessa naturalezza inattesa ha svelato senza rendersene troppo conto il piano architettato nell’estate di quell’anno dall’asse da lui stesso composta e che includeva Merkel e Napolitano. Quello di sostituirlo al nemico giurato Silvio Berlusconi, mission dell’establishment europeo, come già denunciato al Parlamento di Bruxelles dal parlamentare inglese Nigel Farage. I tre buoni amici, negli ultimi anni in particolare, si sono sempre trovati concordi in una visione europeista esasperata, comprensibile per quanto riguarda la cancelliera tedesca, considerando che è stata ed è la figura di primo piano e di maggior potere all’interno dell’Unione. Ma comprensibile anche per quanto riguarda l’ex parlamentare europeo Napolitano e l’ex commissario europeo Monti, entrambi vittime consapevoli di un forte mutamento caratteriale e politico avvenuto nel corso delle loro esperienze a Strasburgo.
Berlusconi osò battere i pugni sul tavolo prima ai vertici continentali e poi al G20 di Cannes, come ricorda l’allora premier spagnolo Josè Luis Zapatero nelle sue memorie, l’asse franco-tedesco non lo perdonò, ma nemmeno ad Obama piaceva il leader azzurro, quindi tutti parlavano del buon Monti. Partendo dal presupposto che la Bundesbank tedesca deteneva e detiene un importante numero di titoli di Stato italiani, possiamo capire più concretamente quale fosse il potere finanziario nelle mani della cancelliera berlinese e come successivamente lo usò contro il Governo e l’Italia per portare tutti a convergere sulla figura dello stimato professore. Nello stesso periodo l’opinione pubblica è venuta a conoscenza dell’esistenza di un certo indicatore economico, mai menzionato prima d’ora dai media, lo spread, un parametro che prende come riferimento Pil e debito tedesco confrontandoli con i nostri. L’ipotesi di rimpiazzare Berlusconi sorse verso fine primavera e fu proprio la signora Merkel secondo indiscrezioni ad ordire tutto chiamando per prima il Capo dello Stato e menzionando Monti quale possibile successore, un’intromissione nella politica interna senza precedenti.
In quella mai confermata telefonata tra Berlino ed il Quirinale (chissà cosa si saranno detti i due ex comunisti), ma una cosa è certa: le idee furono chiare da subito. Difatti, dalla primavera in poi tutto andò come premesso. Avevano trovato l’uomo giusto, ambizioso quanto ubbidiente. Il Presidente Napolitano preparò il terreno in Italia commissionando a Passera un Piano per il rilancio, alimentando i malumori di Gianfranco Fini, facendo le “dovute” pressioni e constatazioni sullo stato di salute del mercato, nonché richiamando un giorno sì e l’altro pure al senso di responsabilità; mentre Angela Merkel preparava la speculazione internazionale che di lì a poco colpì l’Italia soprattutto attraverso la Bundesbank da lei controllata, citando ancora Zapatero: “Martellarono il Governo Berlusconi”.
L’operazione si concluse con il ritiro dei buoni del tesoro posseduti dalle banche tedesche, infine con il declassamento del nostro Paese da parte delle agenzie di rating americane ed avanti così sempre con maggiore accanimento, finché Berlusconi non si dimise a novembre. Lo stesso Cavaliere arrivò a pensare di essere la causa della speculazione nei confronti dell’Italia e in un certo senso era così. Forse chi ha capito il meccanismo esposto da Friedman e la mia analisi, oggi potrà essere tacciato di complottismo, mentre io parlerei invece tranquillamente di sillogismo. Prima o dopo la storia renderà un servizio alla verità ed io credo ci darà ragione, ma probabilmente quel giorno la nostra Sovranità nazionale, conquistata con tanta fatica durante l’unificazione del Paese, sarà cosa perduta e rimpianta.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:11