L’Italia è una… democrazia illiberale

Al democratico, gli basta di sapere che governa chi vuole il popolo. Ed è propenso a credere che con il favore popolare la politica possa fare quasi tutto. Al liberale questo non basta. Come governare gli sembra altrettanto, se non più, importante di chi governa.

L’Italia ha risolto da tempo la questione democratica. Ma pare restia o incapace di risolvere la questione liberale, che si è aperta nel momento stesso che la nazione diventava con la Costituzione repubblicana una democrazia compiuta. Democrazia sì, dunque, ma illiberale. Gli italiani amano la democrazia perché desiderano comandare, ma non hanno a cuore la libertà degli altri. Parlando in generale, prediligono l’arbitrio e la sopraffazione alla vera libertà rispettosa di tutti. Questa potrebbe essere la prima causa. Forse la seconda sta nel fatto che la democrazia è facile; la libertà invece è difficile.

Attribuire con il voto le cariche di comando, per quanto possano apparire complicate le elezioni e le procedure, risulta abbastanza semplice. Ma convivere bilanciando le libertà di tutti rappresenta un arduo esercizio al quale la storia non ha ben allenato i cittadini. Ed una terza causa è di sicuro radicata nella natura ambigua di molte disposizioni della Carta costituzionale. La nostra Costituzione vede la luce alla fine di un’immane catastrofe nazionale e della guerra civile al Nord, ma viene presentata ritualmente come il frutto superbo di una vittoria di popolo e di un’epopea di libertà. Però porta le stimmate della nascita. I suoi difetti sono tare ereditarie. Ha rappresentato un compromesso necessitato, non un accordo spontaneo e sincero sull’idem sentire de Republica. Come poteva concordare una Costituzione liberale l’esarchia politica che consentiva solo sulla liberazione dell’Italia dai nazisti e dai fascisti, ma discordava radicalmente sulla concezione umana, sui fini della politica, sulla visione del mondo? Non è sostenibile che la Costituzione abbia realizzato un compromesso virtuoso, poiché le parti erano persone antitetiche in tutti i campi e in ogni senso. Al contrario, i cinquantasei sottoscrittori della Dichiarazione d’Indipendenza e i trentanove firmatari della Costituzione degli Stati Uniti, nel rompere con la madrepatria per affrancarsi dalla condizione di colonia, erano unanimi sui principi dei due documenti, perfezionati subito dopo con il Bill of Rights. Nel recidere i legami con la sovranità inglese, erano tuttavia stradaccordo sulla libertà inglese, che anzi intendevano porre su basi viepiù solide e sicure.

Ogni costituzione, in fin dei conti, è come l’ombrello. Serve quando piove. La Costituzione italiana ha troppi buchi in materia di libertà e proprietà. È oltremodo significativo che i partiti, in sostanza, abbiano “deciso” l’immodificabilità della parte sui diritti e doveri, la più compromissoria e compromessa, e perciò più bisognosa di riscrittura. Dove manca un diffuso spirito liberale, le norme illiberali non stupiscono le masse. Infatti il popolo e le forze politiche questionano sull’ordinamento dello Stato, cioè su come conquistare ed esercitare il potere. Delle libertà zoppe si curano poco o niente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:18