Ora Accame svela il mistero dei marò

Il caso dei marò non finisce mai di generare mistero nel mistero, ultimo in ordine di tempo è il depistaggio operato dai “servizi” sulle dichiarazioni dell’ammiraglio Falco Accame. Così l’ammiraglio ci ha inviato le sue considerazioni sulla vicenda marò, anche come risposta ai commenti (peraltro ingiuriosi) apparsi sulla rete.

“Due marinai indiani, del tutto innocenti, sono morti - scrive l’ammiraglio Accame - Credo che il senso dello Stato significhi prima di tutto far valere la giustizia comunque e dovunque. La giustizia non deve essere invocata solo per i marinai italiani ma anche per i marinai indiani. Ritengo ingiusto che tutto ciò che, a monte, è stato fatto di errato nel contratto di affitto e nella normativa anti pirateria debba essere scaricato sui due nostri marinai. Mi sembra importante individuare una serie di attenuanti. Inoltre - continua l’ammiraglio - ritengo fare un opportuno “punto nave” in relazione ai presupposti che possono sostenere l’estraneità totale all’omicidio dei due marò. Una certa corrente di (non)pensiero sostiene che: la nave Lexie non c’entra per niente con l’azione di fuoco, l’azione riguarda un’altra nave (è stata fatta l’ipotesi che questa nave fosse l’Olympic Flair); i marò non hanno sparato al peschereccio e di conseguenza le persone morte sul peschereccio non possono essere attribuite all’azione a fuoco; il peschereccio non è mai esistito, ma è esistita una lancia di attacco che avrebbe diretto il suo attacco alla citata nave Olympic Flair; la vicenda si è svolta in acque internazionali ossia fuori dalle acque contigue (24 miglia dalla costa) e fuori dalle acque della zona economica esclusiva (200 miglia dalla costa), acque per le quali occorreva un’autorizzazione all’ingresso da parte dell’India (in base alla Legge indiana sul mare del 1976 (The Territorial Waters, Continental Shelf, Exclusive Economic Zone and other Maritime Zones Act, 1976, Act No. 80 of 28 May 1976) con particolare riferimento a navi sulle quali erano presenti militari armati e depositi di armi. Ciò tenendo presente che, in base alla citata legge, l’India può esercitare la sua giurisdizione su queste acque (contigue e della zona economica esclusiva)”.

Quindi l’ammiraglio procede con ulteriori precisazioni tecniche e giuridiche.

“È da tener presente che la sovranità, in base a quanto stabilito dall’art. 298 della convenzione di Montego Bay si può considerare estesa a tutta la zona marittima esclusiva, cioè fino alle 200 miglia dalla costa - precisa Accame - È bene tener presente che le disposizioni del ministero della Marina Mercantile Indiana del 29 agosto 2011 stabiliscono che tutte le navi con guardie armate e armi a bordo devono ottenere la notificazione di arrivo nella zona economica. È bene ricordare che l’articolo 5 di detta legge sancisce il potere del governo centrale indiano possa esercitare la propria sovranità e adottare le necessarie misure nella o in relazione alla zona contigua al mare territoriale dello Stato, non soltanto in riferimento alle materie annoverate dall’art. 33 dell’Unclos, bensì anche alla sicurezza dell’India. Inoltre, in seguito a notifica mediante la Gazzetta Ufficiale, il medesimo articolo prevede che il governo centrale possa estendere alla zona contigua, con limiti e modifiche ritenuti opportuni, ogni atto normativo dello Stato indiano in qualsiasi materia sopra indicata. Gli effetti prodotti nella zona contigua dovranno corrispondere ai medesimi previsti nel territorio dello Stato. La “Enrica Lexie”, con l’utilizzazione di un nucleo militare armato, assumeva la fisionomia di una nave armata e quindi ricadeva nelle condizioni per cui navi che possono dar luogo ad esplosioni, debbono essere sottoposte alle disposizioni dello stato costiero (in questo caso l’India). In particolare, per quanto riguarda la giurisdizione, il ricorso all’art. 97 della Convenzione è di difficile applicazione in quanto, per la sua l’applicabilità va tenuto conto che si riferisce a collisioni o incidenti di navigazione (e non certamente per incidenti, come quello verificatosi). Occorre poi, per inciso, tener ben presente che l’India fa parte degli Stati non allineati”.

Quindi, per l’ammiraglio, “è falsa la valutazione indiana secondo cui il personale che effettuava operazioni di vigilanza sulla nave è da identificarsi come composta da meri “contractors” legati alla sfera privata (che quindi non potrebbero accedere all’istituto dell’immunità funzionale): non debbano essere prese in considerazione, perché prive di fondamento, le ipotesi formulate dalla Procura Militare Italiana, anche indipendentemente da quelle della Magistratura Indiana, sul coinvolgimento dei marò nell’azione a fuoco, perché i fatti non sussistono”.

Accame difende Abbo

La corrente di pensiero che si muove nelle “segrete cose” accusa il comandante Abbo, autore della perizia che supporta la tesi dello spiattellamento (ossia il rimbalzo sull’acqua dei proietti), di essere “un cervello malato”.

“Circa la perizia del comandante Abbo (specializzato in artiglieria – direzione tiro) – continua Accame – credo questa abbia offerto una tesi sostenibile per attenuare le responsabilità dei marò, così come sono state delineate dalla Procura militare italiana, che ha accusato i marò di “violata consegna aggravata” e di “dispersione di oggetti di armamento militare”, per non aver ipoteticamente rispettato le regole di ingaggio e aver consumato i proiettili esplosi contro i pescatori, con rinvio degli atti alla Procura ordinaria di Roma per procedere per il reato più grave di omicidio preterintenzionale”. Per inciso, la perizia di Abbo viene a sostegno della non intenzionalità nell’azione a fuoco di colpire i marinai indiani. Da osservare che la Procura militare di Roma ha così indirettamente scartato l’ipotesi che il fuoco fosse da addebitarsi al mercantile greco Olympic Flayr.

Perché chi ritiene ingiustificate le accuse rivolte ai marò dalla Procura militare di Roma non ha rivolto le critiche verso tale ente? L’azione di fuoco andava comunque intrapresa solo dopo l’attivazione di tutti gli altri sistemi di avvertimento e preavviso previsti, sia ottici che acustici. Comunque l’azione, in quanto dissuasiva, andava effettuata con un tiro sfalsato (scursorato) rispetto al bersagli: cioè non diretto contro il bersaglio.

È bene tener presente che ai marò “in affitto” vengono affidati compiti di "guardie giurate" (quindi di contractors): compiti che dovrebbero essere affidati a personale civile, specializzato in anti pirateria marittima. In caso di azioni, il fatto che si tratti di personale civile, fa sì che non vengano chiamate in causa le forze armate, quindi lo stato (nella fatti specie quello italiano). Così non si determinerebbe l’assurda militarizzazione di una nave mercantile, che non svolge attività a favore dello stato ma opera per interessi privati.

“A proposito di questi compiti - precisa Falco Accame - vale quanto stabilito nel Dm 28 dicembre 2012 numero 26: nel quale viene evidenziata, tra l'altro, una precisa precondizione per l’entrata in vigore di misure di intervento anti-pirateria. Si chiarisce in proposito che questi compiti possono essere richiesti solo in acque internazionali, cioè nelle acque che distano più di 24 miglia dalle coste, acque al di fuori sia delle territoriali (12 miglia) che delle contigue (altre 12 miglia). Come stabilito dalla convenzione di Montego Bay. All’atto dell’azione di fuoco la Lexie si trovava a 20,5 miglia dalla costa. Il già citato Dm specifica che lo svolgimento dei servizi deve limitare l'uso di armi alla sola ipotesi della difesa legittima. Nel caso della Lexie nessun attacco era stato rivolto alla petroliera, d’altra parte il peschereccio non disponeva di armi, per di più poteva sviluppare una velocità addirittura inferiore a quella della Lexie: per effettuare un’azione di pirateria bisogna almeno contare su una velocità superiore a quella della nave da arrembare. È opportuno notare che la Lexie si trovava in acque non internazionali ma contigue, quindi il sistema di anti-pirateria non avrebbe potuto neppure entrare in azione. Si è accennato al fatto che occorreva sfalsare il tiro rispetto al bersaglio per evitare di colpire persone. Ma - esclama Accame - per sfalsare il tiro occorre disporre di armi col cannocchiale incorporato che, puntando l’arma sul bersaglio, spara con uno sfalsamento (ad es. di 30 gradi) sufficiente a garantire la non colpibilità del bersaglio. Ma i nostri marò non erano stati muniti di tale armamento. A questo proposito si legge nell’art. 6 del citato Dm, che possono essere usate armi di qualsiasi natura: a monte un grave errore concettuale, ma nessuno ha protestato a sostegno di questa indebita condizione in cui hanno operato i marò. A controprova della tesi che la nave Lexie si trovasse in acque non internazionali - spiega Accame - condizione per la quale avrebbe potuto chiamare in causa diritti di giurisdizione, è che il comando della squadra navale (Cincnav), nella persona del C.S.M. ammiraglio Donato Marzano, ha ottemperato alla richiesta indiana dell’entrata in porto della Lexie. Ulteriore riprova è il fatto che, se la Lexie fosse stata in acque internazionali, l’Italia avrebbe dovuto immediatamente far ricorso al Tribunale Internazionale dell'Aia e al Tribunale Internazionale del mare di Amburgo. Ma questo ricorso non è stato fatto né allora né dopo”.

(prima puntata)

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:03