
Gentile direttore,
se è vero che esiste ancora un Partito Liberale Italiano, non altrettanto si può dire del suo presidente. La repentina marcia indietro fatta da De Luca su “In Cammino per Cambiare” lo oscurano definitivamente dal panorama politico italiano. Se lui si sente l’unico erede di Adam Smith, per favore qualcuno gli faccia notare che anche altri e più coerenti italiani la pensano alla sua stessa maniera, anche se militano in partiti diversi. Non sta certo a lui arrogarsi il diritto di sentirsi liberali, ma solo nei fatti quotidiani e nel comportamento di ogni buon italiano che ha rispetto delle libertà degli altri. Riporto per dovere di cronaca il comunicato stampa di “Fare per Fermare il Declino” in occasione dell’uscita del Pli dalla formazione politica cui aveva aderito. In un articolo apparso l’altro ieri sul web-magazine “Rivoluzione Liberale” il segretario del Pli, Stefano De Luca, dichiara concluso l’esperimento “In Cammino per Cambiare” attribuendone le responsabilità a Fare per fermare il declino.
Usa parole forti nei nostri confronti senza sostanziarle con evidenza alcuna, e questo ci dispiace. Se possiamo anche accettare di essere chiamati “voltagabbana” da un uomo politico di specchiata coerenza, ci riesce meno digeribile il rovesciamento di fatti e la logica che la sua lunga nota contiene. Ragion per cui, per puro amor di verità, riteniamo necessario specificare alcune cose anche se, dobbiamo riconoscerlo, avremmo preferito farne a meno. La costruzione di un nuovo soggetto politico che ci portasse oltre Fare attraverso un processo aperto di aggregazione programmatica, era tracciata nella mozione con cui Michele Boldrin si presentò al congresso di Fare il 12 maggio 2013. In essa era declinata l’esigenza di andare oltre le divisioni che avevano frammentato le mille formazioni di ispirazione “liberale” che esistono nel Paese e vi si auspicava il dialogo sui programmi ed i criteri di selezione della classe politica con tutti i partiti, le associazioni politiche e le singole persone che, a qualsiasi livello, vogliono farsi attrici di un profondo cambiamento della politica italiana.
Vi si diceva, ripetutamente, che il problema non era tanto quello di “chiamarsi liberali” ma di condividere le cose da fare ed i metodi attraverso cui la rappresentanza politica va selezionata. E che Fare si sarebbe adoperato per aggregare tutti questi soggetti senza pregiudiziale ideologica alcuna ma focalizzandosi sulla sostanza dei programmi e dei metodi di selezione. Il processo chiamato “In Cammino per Cambiare”, da noi iniziato, che intendiamo continuare e sta continuando con successo, con buona pace di De Luca, è dunque non il contenitore nel quale far confluire queste energie, bensì il veicolo per mezzo del quale chi manifesterà quella volontà riformatrice arriverà al nuovo soggetto politico dopo aver verificato che esiste effettiva comunione di programmi, valori e metodi.
Assetto organizzativo e profilo identitario sono stati sì oggetto di discussione, ma soltanto nella misura in cui il segretario De Luca ha rivendicato la pregiudiziale dell’aggettivo liberale nel nome, l’assenza di ogni altra connotazione e la necessità che il processo di aggregazione venisse “guidato” dal Pli e da Fare. A queste condizioni poste dall’amico De Luca abbiamo coerentemente risposto che non ci parevano essenziali ed andavano rimandate ad una fase costituente che deve seguire, non precedere, l’aggregazione di altre forze e l’elaborazione di un serio programma comune.
Questo non perché in molti dei valori liberali non ci riconoscessimo, ma perché in una fase in cui è drammatica l’esigenza di presentare una realtà politica concreta e credibile ad un Paese stremato e mortificato da decenni di amministrazioni sciagurate, la discussione su etichette che avrebbero avuto solo la funzione di escludere altre forze e persone ci appare poco significativa per non dire controproducente. Prima di scegliere il nome occorre dire agli italiani cosa si vuol fare, come lo si vuole fare e con chi lo si vuole fare. Soprattutto, superando vecchie logiche perdenti anche storicamente, occorre evitare di escludere a priori chi non si riconosce in una ideologia ma condivide, invece, la sostanza del progetto.
Questo vale, in particolare, per tutte quelle forze e persone di estrazione altra da quella puramente liberale (popolare, per menzionare solo quella quantitativamente più rilevante in Italia) che erano e sono interessate a confrontarsi per costruire il partito che non c’è. Disillusi da decenni di promesse cui non sono seguiti cambiamenti di politica economica e riforme istituzionali efficaci, difendiamo con forza quel pragmatismo che risulta a De Luca così indigesto al punto da paragonare la nostra iniziativa al velleitarismo antisistema del M5S e al peronismo sfascista di Forza Italia. Paragone improbabile visto il contributo sostanziale da noi portato alla costruzione di una bozza di programma e la coerenza dimostrata da Fare sino ad ora ed anche in questa specifica istanza. In Cammino per Cambiare è ancora un cantiere e non un partito definito.
Lo è perché abbiamo chiesto che i nostri tesserati si esprimano democraticamente attraverso il congresso sulla strada che abbiamo intrapreso, auspicando che tutti gli altri facciano lo stesso; lo è perché altri soggetti hanno manifestato vivo interesse per questa ambiziosa iniziativa e c'è la concreta possibilità che, lasciati i particolarismi identitari, si offra agli italiani molto più di una federazione elettorale a tempo. Il Pli, che di alleanze elettorali ha avuto ampia e insoddisfacente esperienza nella sua lunga storia, questo dovrebbe capirlo. Arroccarsi su un aggettivo, rivendicare un ruolo di primazia sconfessato dalla realtà imprimendo una brusca accelerazione ad un processo che invece richiede pazienza e buona volontà da parte di tutti, può avere solo l’effetto di riproporre agli italiani un déjà vu dal sapore sgradevole ignorando che i cittadini sono persone mature e consapevoli, molto disgustate dalla vecchia e attuale politica.
Escludere, come la dirigenza del Pli ci ha insistentemente richiesto negli ultimi mesi e noi abbiamo rifiutato di fare, altre forze e persone che, invece, a questo progetto si sono avvicinate e si stanno avvicinando era e resta un errore inaccettabile. L’esperienza di questi mesi ci ha insegnato che la strada è lunga ed impervia ma che percorrendola con coerenza, pazienza ed apertura mentale si raccolgono i frutti. Noi ci auguriamo che questa improvvida decisione del vertice del Pli venga ripensata. Dal Friuli alla Sicilia abbiamo collaborato proficuamente con centinaia di aderenti al Pli, proponendo in modo condiviso un modo nuovo di fare politica e temi che le persone avvicinate hanno mostrato di comprendere e gradire. La porta è aperta, il processo continua, chi ne condivide principi e finalità è benvenuto, da ovunque ella o egli venga.
L’ancoraggio valoriale al quale rispondiamo è l’onestà intellettuale di chi si avvicina alla politica per puro spirito di servizio con l'intento di riformare un Paese allo sfascio. Chi condivide questo spirito è per noi interlocutore privilegiato. Chi invece pensa che con una citazione crociana e un richiamo ad antichi schemi partitici si possa arrestare il declino di una nazione è destinato alla mera, sterile ed irrilevante autoproclamazione di se stesso. Preferiamo fallire nella ricerca cocciuta di un futuro per il Paese che bearci nella patetica constatazione di avere un grande avvenire dietro alle spalle.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:15