
Basta seguire con attenzione la nostra tivù, che è a dir poco bulimica, per rendersi conto che delle due l’una: o la televisione è un’immagine frammentata di una rappresentazione “elettoralistica”, oppure è, al contrario, lo specchio di una società, di una politica, di un Paese: in crisi. L’altro giorno, per dire, il Premier Letta annuncia in pompa magna, da un paese arabo, che la ripresa si vede e che l’Italia è credibile, e richiama, finalmente, investimenti (Alitalia, ma non solo), segno indubitabile di una ripresa che i soliti disfattisti continuano a negare. Cambio di scena, appare Squinzi, Presidente della Confindustria, che ci narra un’altra Italia e ci racconta di un Paese ancora in crisi dove le industrie chiudono e il lavoro latita: il pessimismo non è un optional, al contrario, è uno stato di fatto. Due Italie, dunque, non conciliabili.
In contemporanea, sempre la tivù, ci offre l’inedito e sconvolgente spettacolo di un intero gruppo grillino che dà l’assalto alla presidente Boldrini, al Governo, allo stesso Parlamento reo di approvazioni contra legem, fra cui un vero e proprio furto autorizzato alle Banche. Che, tra l’altro, non è vero. Ma, come diceva Mitterrand, la politica è percezione. Lasciamo per un attimo perdere i collaterali insulti, che pure sono, in sé e per sé, un atto di fatto inscusabile, e dimentichiamoci per un attimo le insistenti farneticazioni a Ballarò dell’ideologo grillino che conferma l’inconciliabilità sistemica dei pentastellati. E guardiamo l’intera scena. Intanto salta all’occhio un’incontrovertibile realtà, che non è fiction. Che alle due Italie contrapposte, di Letta e di Squinzi, se ne dispiegano altre due di tipo parlamentar-politico: di Grillo, del Parlamento e del Governo, e di Renzi in primis.
Le divisioni, invece di sintetizzarsi e metabolizzarsi, si accentuano, crescono su se stesse. E lo testimoniano, sempre in televisione, le iterazioni dei sondaggi che, sempre e comunque, ci offrono cifre che, al di là del recupero renziano rispetto ai flop bersaniani, segnalano sia la ripresa vistosa del centrodestra con l’arrivo di Casini, sia (ed è questo il dato più impressionante) la crescita di ben oltre il 20 % del Movimento Cinque Stelle. C’è dunque qualcosa che non funziona. C’è, come dicono le analisi meno superficiali, una situazione che è rimasta sostanzialmente bloccata dal febbraio del 2013.
E lo confermano, per l’appunto le due, le quattro Italie di cui sopra. È la percezione, ma anche un ritratto. Perché al fondo della questione esiste nel Paese un disagio profondo e una protesta diffusa che sarebbe un enorme abbaglio confondere con le intemerate sceneggiate grilline (che sono l’effetto non la causa) su cui ci si allena a metterci sigle di volta in volta estremiste, intolleranti, sfasciste e fasciste. Certo, qualcosa del genere è in ebollizione nell’impressionante crescendo delle contestazioni. E va pure aggiunto che questo irrefrenabile climax avviene nel momento stesso in cui non pochi di loro, a cominciare dal duo Grillo-Casaleggio, si sono accorti di essere tagliati fuori dal grande gioco della politica. Riforma elettorale docet.
Eppure, per quanto tagliati fuori, per quanto irriducibili nel loro improduttivo niet a tutto e a tutti, il movimento, lungi dal diminuire, cresce. Perché? Perché dietro Grillo c’è comunque un’Italia che gli crede: perché non sta scemando il malessere citato da Squinzi, perché la crisi morde la società e, soprattutto, perché nella contrapposizione in atto in cui il Governo doveva non solo riaccendere i motori del Paese ma farlo davvero uscire dal disagio, la percezione è che non sia stato, fino ad ora, capace. La scelta renziana di puntare sulla riforma elettorale, che pure è in dirittura d’arrivo, non è bastata, perché la percezione, di nuovo, è che da mesi si parli solo di questa e si sia dimenticato tutto il resto.
Che è appunto un Paese stremato, innanzitutto, da una tassazione demenziale cui non corrispondono risposte concrete di ripresa, di slancio, di certezze economiche. E siamo a Renzi, al suo silenzio e alle sue attese, anche queste elettorali, nel senso della riforma del voto con l’accordo col Cavaliere. Il suo attendismo sta rischiando di aumentare le criticità di Letta, tant’è vero che si annunciano venti di crisi governativa. Il fatto è che il giovane segretario del Pd con la sua corsa frenetica che, pure, lo ha premiato nei sondaggi, dà la sensazione, la percezione appunto, di avere né un forte baricentro, né soprattutto una meta precisa.
Se, infatti, il rinnovamento sta nel correre rottamando e non nel prendere consapevolezza che il riformismo si afferma e si consolida solamente con un Governo deciso, forte, capace e stabile, anche i buoni propositi renziani rimarranno sulla carta. Anzi, sul teleschermo. Che non è sempre un bel vedere nella sua tendenza a fare, lei, politica. In realtà, le diverse Italie che si contrappongono nel pieno di una crisi, o ottengono un Governo che le governi, o il Grillo continuerà a sproloquiare, cioè a crescere. Che non è (solo) una percezione. Perciò, caro Renzi, hic Rhodus, hic salta.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:03