P.A., le inefficienze frenano lo sviluppo

Nel tema delle riforme istituzionali, quello dello Stato-Pubblica Ammini-strazione ha rivestito una parte del tutto residuale. Le forze politiche che si sono succedute al Governo dal dopoguerra ad oggi non hanno mai inciso sul funzionamento della macchina statale per renderla adeguata ai processi dello sviluppo economico, ma hanno profuso i loro sforzi sul riordinamento del personale in maniera da rendere più facile l’accesso ai posti pubblici per accontentare le loro clientele. Grande è questa responsabilità, ove si pensi alle inefficienze con cui devono combattere ogni giorno i cittadini e che una delle ragioni per le quali gli in-vestitori esteri si guardano dal venire in Italia è certamente il malfunzionamento della Pubblica Amministrazione.

Il discorso della gestione del perso-nale, per il modo con cui viene condotto, è estremamente grave perché riguarda settori di grande rilievo. Si può dire con sicurezza che, da quando è stato emanato il decreto legislativo n. 29/1993 sulla privatizzazione del pubblico impiego, è stato tutto un susseguirsi di illegittimità che hanno, oltretutto, compromesso ogni criterio meritocratico, quello cioè che deve portare i più capaci al vertice della gestione. Di fronte a numerose sentenze dei giudici sia ordinari sia amministrativi, che hanno sancito l’illegittimità delle no-mine dirigenziali, i vertici amministrativi, con l’avallo sconsiderato dei politici e di talune forze sociali, anziché abbandonare simili comportamenti, hanno ottenuto provvedimenti volti alla conferma di simili illegittimità.

Tutto, anzi, è proseguito in maniera sempre più arrogante. Nelle procedure di interpello per la nomina a uffici dirigenziali, in taluni settori, si sono preferiti, ad esempio, impiegati dell’ex VII qualifica funzionale, perfino sprovvisti di laurea, a dirigenti anziani vincitori di regolare concor-so: addirittura a qualche dirigente interpellante è stata respinta la domanda con la motivazione di una mancata esperienza quando lo stesso posto è stato attribuito a ex VII qualifiche sprovviste, ripetesi, del titolo di studio richiesto e di prima nomina a incarichi dirigenziali. E si potrebbe ancora proseguire.

Non è pertanto il personale responsabile dell’attuale dissesto, ma una classe politica che ignora una verità già acquisita da economisti del passato, quali De Viti De Marco, che lo Stato è un fattore importante della produzione e, quindi, degno della massima attenzione. Recuperare un discorso di legittimità deve per tutti diventare un imperativo categorico, poiché l’Amministrazione non è di proprietà di questo o quel partito, ma dei cittadini. Il rispetto della legalità non contraddice all’efficienza, ma ne diventa un tutt’uno. Deve essere comunque a tutti chiaro che non esiste alcuna possibilità di sanatoria di fronte a gestioni personalistiche e clientelari: provvedimenti simili si infrangeranno sempre contro i princìpi di correttezza e di imparzialità sanciti nella Costituzione.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:20