Morbido colpo di Stato Fine della Repubblica?

Sulla sentenza della Corte Costituzionale n. 1/2014, che ha parzialmente, artificiosamente e incostituzionalmente abrogato la vigente, indecente ma legittima, legge elettorale soprannominata “Porcellum”, ho già scritto due interventi sui social network. Nel primo, su Facebook del 5 dicembre 2013, a botta calda, scrivevo: “Attendo di leggere le motivazioni della sentenza, per esprimere il mio parere definitivo (che conta nulla, salvo che… per me!).

Ma intanto dico che chi è contento della pronuncia di incostituzionalità del Porcellum mi pare non capisca che la Corte Costituzionale ha consacrato abusivamente la scomparsa della divisione dei poteri, attribuendolo tutto al potere giudiziario, in via assoluta, cioè in una materia che prescinde da opzioni etico-religiose o da ostilità politiche a questo o quel gruppo o persona. La Corte “crea” le leggi e ne definisce i limiti senza avere “propri” limiti, perché il limite (cioè la Costituzione) non è più tale, essendo divenuto lo strumento per cancellare i limiti stessi. Io temo il potere assoluto del Parlamento ma quello della Corte è peggiore! Questa pronuncia mi pare un (parzialmente inconsapevole) mutamento di regime costituzionale, oltre, e contro, la Costituzione. E chi si autodefinisce liberale e ne gioisce, è un liberale dei miei stivali”.

Il secondo intervento è dell’altro ieri, 14 gennaio 2014, su Twitter, ancora a prima lettura, dopo la pubblicazione delle motivazioni della sentenza: “Corte Costituzionale 1/14: le motivazioni confermano “morbido” colpo di Stato. Parlamento (questo e i prossimi) esautorato, cittadini pure. Fine democrazia”. Questo è il terzo e penso l’ultimo. Premetto due citazioni, di oggi. Marco Olivetti, professore ordinario di Diritto costituzionale nel Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Foggia, cattolico moderatissimo un po’ orientato a sinistra, mi risulta abbia scritto che la 1/2014 sia “la sentenza a maggior densità politica mai adottata nella storia della Corte Costituzionale”.

Augusto Barbera, autorevolissimo professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Bologna, di area democratica, ex parlamentare ed ex ministro, ha dichiarato al Corriere della Sera di ieri: “La Corte non ne esce bene da questa vicenda: ha esteso al massimo i propri compiti, sia facendo discutere un ricorso di assai dubbia ammissibilità, sia ampliando oltre misura i suoi poteri di intervento creativo [ripeto: ampliando oltre misura i suoi poteri di intervento creativo, NdR]”. Per altri temi la sentenza lascia “sbigottiti” ed è “imbarazzante” perché, tra l’altro, scavalca la “riserva di legge in materia elettorale”. Ometto altri riferimenti per questioni di riservatezza.

Ciò premesso, considerato il silenzio diffuso da parte di tutti gli organi di stampa che ho adocchiato e considerato il silenzio di ogni intellettuale di area liberale che conosco o di cui leggo quello che riesco, mi pare evidente la mancata percezione della gravità della situazione. L’Italia, già in profonda crisi istituzionale, ha da oggi, di fatto, una diversa struttura costituzionale, con una Corte Costituzionale “legibus soluta” e, in quanto tale, sovraordinata a ogni altro organo costituzionale. Non intendo affrontare il tema della sussistenza di responsabilità per attentato alla Costituzione né mi interessa sapere con certezza giuridica se effettivamente vi sia qualche altra ipotesi configurabile di responsabilità conseguente all’illegittima della pronuncia, frutto manifesto di un intervento creativo oltre misura, per dirla con il professor Barbera.

Né, infine, se sia configurabile e risolvibile un conflitto tra organi costituzionali dello Stato che coinvolga Parlamento e Corte Costituzionale. Voglio solo evidenziare che la realtà sociopolitica italiana, e quella a me vicina di area liberale in particolare, appare ormai completamente incapace non dico di ribellarsi ma anche solo di percepire pienamente gli abusi del pubblico potere, che ormai non sono più nemmeno “dello Stato” ma di singoli organi, di singoli apparati, di caste variabili che lottano tra loro al fine di ripartirsi illecitamente aree di dominio.

Trovo quindi conferma che questo Stato, la Repubblica Italiana, deve cessare di esistere anche formalmente, perché sostanzialmente si è già trasformata in altro, rispetto a quello che la Costituzione prevede: il Parlamento non è più sufficientemente libero nello svolgimento della funzione legislativa, né il Governo di quella esecutiva, perché il potere giudiziario (nel quale convenzionalmente includo la Corte Costituzionale) ha assunto una posizione dominante non più riequilibrabile dagli altri poteri. Mi rendo conto che il tutto apparirà esagerato a molti, e mi auguro davvero che sia così. Ma oggi preferisco il rischio dell’esagerazione a quello dell’eccesso di prudenza.

Tratto da Notapolitica.it

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:13