
Assicura che dimostrerà la sua estraneità a certe accuse, che si tratta di una “tempesta in un bicchier d’acqua”. Ma non nasconde una certa amarezza per essere diventato – scrive Antonio Fraschilla a pagina 9 de La Repubblica – “il parafulmine utile a distrarre l’attenzione su chi ha rubato davvero”. Il renziano Davide Faraone si difende così, dopo essere stato coinvolto nell’inchiesta sulle spese pazze dei gruppi dell’Assemblea regionale siciliana.
Ha probabilmente molte ragioni per difendersi. Secondo “La Repubblica” – sintetizzata da “Il Velino” – Faraone spiega che “quanto accaduto riguarda la scorsa legislatura, della quale ho fatto parte. Mi viene contestato un importo di 3.300 euro in cinque anni e posso dimostrare che si tratta di soldi spesi esclusivamente per attività politica”. È ragionevole. Sarà certamente in grado di spiegare tutto. E ha perfettamente ragione quando dice con chiarezza: “Io non ci sto a fare il parafulmine di chi ha rubato davvero, di chi ha utilizzato i soldi pubblici per regali agli amici o, peggio, per fare viaggi con la propria famiglia, come leggo sui giornali che riportano alcuni stralci di questa indagine”.
Però – ed è un però grande come una casa – se Matteo Renzi si fosse comportato con lui con la stessa sicumera e lo stesso presunto rigore morale utilizzato con la De Girolamo, avrebbe dovuto semplicemente dire “dalla Idem altro stile”. Non l’ha detto. Perché in quel caso aveva anche aggiunto: “Spetta a Letta decidere”. In questo caso avrebbe dovuto decidere lui. E, come sempre gli accade, ha indicato la pagliuzza degli altri e sorvolato sulla trave che aveva in casa.
Tratto da Notapolitica.it
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:11