
Ci hanno fatto credere che fosse in atto un ricambio generazionale: lo ha detto Letta apertis verbis, lo ha affermato Renzi attraverso l’ormai famosa rottamazione, lo ha sottointeso Alfano con lo strappo da Berlusconi e la creazione di Ncd. In realtà è solo giovanilismo peloso perché, sebbene l’età anagrafica giochi a favore dei tre giovin signori, i metodi usati sono vetero democristiani tanto quanto il di loro curriculum. Possiamo quindi affermare che, dopo tutti questi anni, stia tornando la Democrazia Cristiana? Crediamo proprio di sì e, tralasciando il trascorso politico dei parlamentari in questione (facilmente consultabile da chiunque), sono proprio i comportamenti di scuola scudocrociata a dimostrare per fatti concludenti la bontà della nostra tesi.
Sicuramente all’Italia la cosa non fa specie perché in fondo conosciamo i nostri polli, abituati a gonfiare il petto in pubblico lamentandosi delle mancate riforme, onde poi rimpiangere in privato la vecchia e comprensiva balena, sempre pronta ad accogliere le istanze dei clientes (a colpi di debito pubblico) perché “allora mangiavamo tutti mentre adesso questi della casta mangiano da soli”. Non sono animati da sete di giustizia e legalità i nostri polli: i più sono solo invidiosi per non essere stati invitati al banchetto mentre qualche manettaro invece sfoga la propria frustrazione invocando la gogna diffusa. A vantaggio dei suscettibili, precisiamo che ovviamente esiste anche la gente perbene e se ne sta in disparte a schifarsi per benino. Ma veniamo ai cari neo democristiani: Letta è un campione della logica democristiana.
I regali clientelari imbucati nei provvedimenti, gli annunci mirabolanti che rimangono tali, le prediche sulla presunta tenuta dei conti, le notizie positive che sono sempre dietro l’angolo e mai realtà, i famosi due passi avanti e quattro indietro, la continua e pacata esposizione del nulla, la politica dei due forni, il tatticismo esasperato, il tirare a campare senza scontentare nessuno, i provvedimenti rimandati e modificati decine di volte, cosa ricordano se non il miglior Andreotti? Non è affatto scontato che l’Italia non apprezzi il neogobbismo lettiano anche perché forse il Paese è proprio alla ricerca di qualcuno che non lo inchiodi alle proprie responsabilità, trascurando però che la possibilità di pagare il lassismo con il debito pubblico oggi non esiste più e che, prima o poi, le promesse da marinaio proferite serenamente e pacatamente ci saranno sbattute sul naso.
Alfano invece ricorda tanto la splendida imitazione che Verdone faceva del politico democristiano “sempre teso” a risolvere mille priorità ma con “le mani legate” da varie circostanze ostili alle sue volenterose e utili proposte. Te lo ritrovi a scagliarsi in maniera volitiva e convinta contro la burocrazia, la pressione fiscale, la disoccupazione e similari, esponendo con fermezza la chiara volontà di risolvere finalmente queste annose problematiche chiaramente per il bene del Paese. Poi ti domandi se oltre all’elenco delle cose da fare qualcuno gli abbia fornito anche qualche straccio di proposta perché altrimenti, se è così tanto per parlare, potremmo suggerirgli di aggiungere all’elenco anche la pace in Medio Oriente, il buco dell’ozono, la fame nel mondo e le eruzioni solari.
Sono ottimi cavalli di battaglia. In questo Alfano e Renzi hanno un tratto in comune, anche se sicuramente il secondo è più composito a livello di caratteristiche personali rispetto al primo ed assimilabile ad un mix tra la versione vincente e modernista del furbo e brioso Clemente Mastella e la indubbia capacità lobbystica di Ciriaco De Mita (nell’85 “Il Mondo” lo indicò tra gli uomini più influenti d’Italia). Renzi è un trionfo di frasi fatte, di battutine, di luoghi comuni, di operazioni simpatia dietro cui si nascondono pochi e confusi contenuti. Con un pizzico di spocchia e con indubbia abilità comunicativa riesce a far sembrare una cosa seria anche roba come il Jobs Act, disamina di mere proposizioni di principio arcibanali e monche di soluzioni o fonti di finanziamento.
Siamo tutti bravi a dire che il costo dell’energia (o del lavoro se volete) è alto, troppo facile blaterare a vuoto di riforme se poi l’unica risorsa scarsa sono proprio gli approcci innovativi in luogo delle solite chiacchiere ed il reperimento di risorse attraverso il taglio della spesa pubblica diventata immorale. Renzi non è un rottamatore ma un restauratore di facciate: fa il grillo parlante, l’indignato e l’alfiere del cambiamento anche se, rispetto al Salva Roma zeppo di regalie, ai 150 euro chiesti indietro dal Governo agli insegnanti, al Milleproroghe, ai regali elargiti ai gestori di slot-machine, alla confusione nella tassazione sulla casa, al finanziamento pubblico ai partiti, ha gridato alla porcata solo dopo aver visto le magagne sbattute in prima pagina.
Prima dov’era? Faceva il furbetto in attesa degli eventi o il segretario farlocco cui il partito tiene nascoste le cose? Era a capo di un partito in maggioranza a sua insaputa? Nulla di nuovo rispetto al passato, vecchie ipocrisie. Insomma, viene quasi voglia di preferire i parrucconi diccì della prima ora a questi replicanti e soprattutto viene voglia di auspicare il ritorno dei di loro danti causa (gli Usa di Reagan). Queste sono comparse che contano poco, camerieri dei potentati trilaterali e dei gruppi finanziari che fanno e disfano Governi e Paesi a loro piacimento, etero-dirigendo in maniera “illuminata” un cumulo di burattini che hanno il compito di fare il gioco sporco ma anche di far passare per pazzo chi ricorda loro di essere dei meri parasubordinati, poco più o poco meno di stagisti in una banca d’affari.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:21