Gabanelli vs Usigrai, scontro sugli sprechi

È bufera tra Milena Gabanelli, storica conduttrice su RaiTre di Report, e il sindacato dei giornalisti Rai guidati da Vittorio Di Trapani. La giornalista dalle inchieste scomode ha attaccato duramente l’azienda di viale Mazzini sugli sprechi e in particolare per l’organizzazione delle sedi regionali. Nel chiedersi a cosa servono 25 sedi, la Gabanelli ha fatto un po’ di confusione e molta strumentalizzazione di maniera lasciandosi sfuggire un attacco al vetriolo: “La maggior parte delle sedi serve a mantenere un microfono aperto ai politici locali”. Biagio Agnes si rivolta nella tomba per l’attacco alla sua creatura, sostenuto da Alessandro Curzi.

Il professor Angelo Guglielmi della tv verità che ha allevato i Balassone, Mantovani, Santoro, Serena Dantini, Corrado Augias, non riconosce più la “sua sinistra” e tutti gli intellettuali che sono cresciuti alla sua scuola sulla Rete della gente. “L’attacco sferrato dalla Gabanelli è disinformazione pura – ha replicato il segretario dell’Usigrai, Vittorio Di Trapani – Dati errati e una scarsa conoscenza dell’azienda per la quale lavora da anni”. La Gabanelli viene iscritta nel partito di quanti vogliono il ridimensionamento della Rai, che proprio l’ultimo dell’anno con lo spettacolo di Carlo Conti da Courmayeur e il messaggio del Capo dello Stato ha fatto incetta di ascolti. Sulla vicenda è intervenuto il nuovo direttore della Tgr, Vincenzo Morgante, nominato all’unanimità dal Consiglio di amministrazione di viale Mazzini a novembre, proveniente dalla sede regionale della Sicilia.

La difesa è articolata sulle 25 sedi che producono telegiornali, giornali radio, settimanali, il Tg scientifico Leonardo, 30mila contributi l’anno alle altre testate. Le edizioni regionali hanno un buon ascolto considerando il 16,5% delle ore 14 e del 14% per quelle delle 19,30. Molto debole resta il telegiornale breve della notte (circa il 6%, ma con orario ballerino), voluto dall’ex direttore Piero Vigorelli sia per gli aggiornamenti dei fatti locali sia per costituire un presidio di pronto intervento a vantaggio delle testate nazionali. La difesa dell’informazione locale trova riscontro anche in altre realtà come quelle francesi, spagnole e della BBC.

Qual è il punto allora? Il problema è la struttura dell’azienda del servizio pubblico nel suo complesso. La Rai è composta da tante piccole aziende, ognuna delle quali agisce per proprio conto, con propri budget. Non c’è sinergia neppure per gli archivi nonostante gli sforzi di Barbara Scamarucci per le Teche. Basta entrare in uno dei tanti corridoi di Saxa Rubra per vedere lo scempio delle cassette contenenti immagini , reportage che vengono abbandonate. Il momento della trasformazione tecnologica digitale è appena concluso solo al Tg2. Ci vorrà del tempo per il colosso del Tg, che dovrà spostarsi anche logisticamente dalla palazzina a fronte di via Flaminia. Poi toccherà anche al Tg3.

È sufficiente parlare con qualcuno dei telegiornalisti o montatori per sapere quanto è arretrata la Rai, non rispetto ai grandi network internazionali ma rispetto alle tv private. Quella della Radio è poi una crisi profonda. La rete ammiraglia è scivolata al quinto posto. La questione non è tanto quella della privatizzazione e della più o meno forte influenza dei partiti, quanto il discorso della riorganizzazione industriale che neppure l’ultimo piano triennale del direttore Gubitosi affronta. Come risanare un bilancio con un rosso mostruoso di 245 milioni per un’azienda di 10.746 dipendenti. Mentre avanza la scadenza del rinnovo della convenzione con lo Stato.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:11