Il “Da-da-um-pa”  della politica italiana

L’Italia s’è desta? No, si è messa le ciabatte perché ormai destarsi non va più di moda. L’Italia si è divisa in due, anche se questa volta non si tratta di destra e sinistra ma di una frattura netta che si avverte tra Palazzo e piazza. Da una parte c’è una politica che dibatte del nulla e dall’altra c’è un Paese che (non) va per conto proprio, osservando con indifferenza queste lavandaie che si accapigliano in cortile sulla marca del detersivo. Nel mezzo si trova tutta una serie di vittime inconsapevoli che si accodano a questa gigantesca farsa improvvisando un compiacente tifo da stadio.

La politica è scomparsa, questi fanno le “signorine buonasera” mica si occupano della res publica: si affacciano in tv, cianciano di giovani, fiducia, battutine, scaramucce, ripresa dietro l’angolo, rimpasto, legge elettorale, riforme e per loro il gioco è fatto, il bambino elettore viene accontentato con la generica promessa e con l’intrattenimento mediatico mandato in onda come fosse un cartone animato. Peccato che il pargolo di cui sopra stia crescendo, stia acquisendo sulla propria pelle coscienza dello sfascio, diventando così più esigente. Non si capisce se si tratti di eccessiva convinzione nelle proprie doti da illusionista, incapacità ciabattona o scollamento dal Paese reale, ma la cialtropolitica questo non lo comprende e si ciondola pigramente scavando un solco enorme tra sé ed il Paese.

Prendiamo ad esempio la legge elettorale; non pensano costoro che sia giunto il momento di finirla con la storia del modello spagnolo con una spruzzatina di senape, corretto alla svedese e col bacio alla francese? È una priorità? Bene, si faccia perché altrimenti diventa un riempitivo grottesco tra un fallimento di azienda e una puntata di Maria De Filippi. Non si può chiacchierare di debito pubblico in linea con le attese perché non bisogna essere economisti per scoprire che esso è aumentato raggiungendo nel 2013 quota 2.085 miliardi di euro contro i 1.907 miliardi di euro del 2011.

Non solo un aumento secco della massa debitoria ma, come giustamente fatto notare dall’ottimo giornalista economico Luigi Monfredi, per effetto di una strana combinazione tra tassi di interesse sul debito ed inflazione, esso vale anche di più rispetto al 2011, annullando i presunti effetti benefici derivanti dal famoso calo dello spread. Ecco dunque lo spread, quel differenziale che abbiamo ormai imparato a conoscere e sul cui calo il Governo Letta vanta dei meriti. Sarebbe bello chiedere al Premier quale sia precisamente il provvedimento governativo che ha generato questo miracolo anche se conosciamo già la risposta: la fiducia dei mercati derivante dalla stabilità.

Quale fiducia? Forse quella espressa in molte circostanze dal commissario Europeo Rehn, il quale ha più volte dichiarato che i parametri debitori italiani non sono in linea con il Fiscal Compact e con il Six Pack? Crediamo sia il caso di non sparare nel mucchio e di dire con chiarezza agli italiani che lo spread è calato perché la Banca Centrale Europea ha spinto al ribasso i tassi di interesse (compresi quelli sui debiti pubblici), temendo che i governi nazionali non fossero in grado di porre in essere provvedimenti utili a favorire investimenti e crescita. Ed è appunto quello della crescita un altro nodo cruciale su cui bugie così palesi rischiano di rovinare prima ed indispettire poi gli già sfiduciati italiani costretti a dover sentire che essa è dietro l’angolo.

Nonostante i dati previsionali (puntualmente ribassati ex post) esponessero sempre stime artatamente gonfiate, il Pil italiano ha visto nove trimestri con il segno negativo ed un trimestre (l’ultimo) verosimilmente ad impatto quasi neutro. Detto in soldoni, ciò significa che l’Italia non cresce e che una politica fiscale oppressiva ha letteralmente bombardato l’economia generando scarsa competitività dei nostri players sui mercati internazionali e deprimendo la domanda interna fino a giungere ad una vera e propria deflazione. Convocare una conferenza stampa di fine anno per dire che la pressione fiscale è diminuita sembra un vero e proprio attentato all’intelligenza degli italiani, tanto più se Saccomanni, pochi giorni dopo, comunica che sarà il 2014 l’anno del calo delle tasse. Ma non erano già calate? Suvvia, almeno mettetevi d’accordo.

Ma veniamo al miracolo comunicatoci da Letta: il calo delle tasse avvenuto nel 2013. Risulta quantomeno provocatorio confrontare i dati sulla pressione fiscale 2013 con quelli del 2012, anno del grande raid fiscale, tant’è vero che se si fosse preso come termine di confronto il 2011, il risultato sarebbe stato ben diverso.

Anche in questo caso, volendo restare comprensibili senza inerpicarsi in ragionamenti troppo tecnici, quel poco che può registrarsi in diminuzione nel 2013 sarà ampiamente compensato dalle molteplici clausole di salvaguardia inserite nei provvedimenti economici di Saccomanni (esempio: se il governo non troverà 500 milioni entro gennaio sarà costretto a un taglio lineare delle detrazioni Irpef sulle spese sanitarie, scolastiche, sui mutui prima casa, ecc.), dalla Tares (che fa un baffo alla vecchia tassa sui rifiuti), dal già introdotto aumento dell’Iva, dalle nuove patrimoniali sulla casa (l’Imu se ne va e arriva la Iuc, la mini Imu con annessi aumenti ed una confusione bestiale) e da una serie di micro-tasse inserite nella Legge di Stabilità che nel 2014 avranno il nome di imposta di bollo sulle operazioni finanziarie, accise sugli alcoolici, aliquota Iva su snack e bevande vendute tramite macchinette automatiche, autostrade, spese di giustizia, imposta di bollo sulle istanze pubbliche on-line, accise sui tabacchi, carburanti, funerali, ecc.

Gli Italiani lo sanno e per ora ingoiano il rospo così come si bevono la favoLetta di Cottarelli, il commissario senza macchia, senza peccato (e senza idee), giunto ad attuare la tanto decantata spending review che, a giudicare dalle mancette clientelari inserite nei DDL e dalla marchetta sui finanziamenti ai partiti, è essa stessa l’ennesimo spreco di carta, relazioni, prospetti, grafici, presentazioni e consulenze tipiche del dissimulatorio genio italico. Infatti, come nelle migliori tradizioni, è in fase preliminare e crediamo proprio che rimarrà solo un ottimo argomento da conferenza. Letta, come dice, mangerà il prossimo panettone? Non crediamo che agli italiani ciò interessi molto. Qualcuno dia la cattiva notizia al Premier, il dadaumpa della politica non funziona più.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:12