
In questi giorni di festa si è verificato un evento che ha destato stupore e sconcerto nell’opinione pubblica. Caterina Simonsen, giovane studentessa di Veterinaria, vive a Bologna ed è gravemente malata perché affetta da una rara forma di immunodeficienza. Attraverso Facebook, Caterina, dimostrando di essere dotata di una sensibilità umana ed etica ammirevole e lodevole, ha inserito un suo video per dichiarare che se non vi fosse stata la sperimentazione farmaceutica sugli animali, lei sarebbe morta all’età di nove anni, per l’assenza e la mancanza di cure efficaci ed adeguate.
Caterina, il cui sguardo emana dolcezza e delicatezza d’animo, è stata aggredita in modo violento e veemente da persone che, in nome del fanatismo radicale, condannano la sperimentazione farmaceutica sugli animali e invocano il rispetto per la vita per ogni essere vivente. In questo caso, al di là di un legittimo e scontato moto di sdegno al cospetto dell’ottusità degli animalisti fanatici, s’impone una riflessione morale per la quale occorre chiedersi dove sia finito il rispetto umano che si deve ad una persona gravemente malata. Infatti in questi giorni di festa, che i coetanei di Caterina stanno trascorrendo in letizia con i loro amici, la giovane studentessa di Bologna si trova in un reparto ospedaliero e combatte la sua strenua lotta per sconfiggere la malattia, e continuare, in tal modo, la sua vita.
Chi è animato da un cieco e ottuso furore ideologico sovente smarrisce e perde di vista il dovere di portare il rispetto umano a chi è malato ed a coloro che, per una serie di circostanze sfortunate, hanno perduto la salute. Tuttavia questa vicenda, che suscita sentimenti di commozione e solidarietà umana verso la giovane Caterina, impone di considerare il problema filosofico della violenza sia nella vita dell’uomo sia nell’ordine della natura. La violenza è insita nella condizione biologica dell’uomo. Il sistema immunitario del nostro corpo mediante i globuli bianchi si difende dall’aggressione dei batteri, eliminandoli.
Anche la persona che, per il rispetto del diritto alla vita di ogni specie animale, si rifiuta di nutrirsi con la carne e si limita ad alimentarsi con i vegetali, è costretta a distaccare i frutti dalle piante e dagli alberi, da cui sono generati. Anche questa è una forma di violenza commessa dall’uomo, poiché non esiste la possibilità di dimostrare che per gli alberi sia normale che qualcuno li privi dei propri frutti. Ma per avere conferma della differenza che vi è tra la condizione animale e quella umana, occorre meditare e riflettere su un altro aspetto essenziale. Nel mondo animale le diverse specie, così come si sono formate lungo il corso della evoluzione biologica, agiscono in base all’istinto.
Per questo motivo è impensabile che una specie animale carnivora possa rinunicare a nutrirsi della carne dell’animale più debole e ad abdicare alla supremazia che nell’ordine della natura ha conquistato nel corso della evoluzione biologica. Soltanto l’uomo, che è dotato di istinto e ragione e possiede la coscienza morale con la quale può definire e cogliere il significato dei propri comportamenti, può decidere di estendere al regno animale gli ideali umani e morali, che impongono il rispetto per la vita di ogni essere vivente. Questa constatazione dimostra quanto sia abissale la differenza tra la condizione umana e quella animale. Tuttavia non si può ignorare che vi è uno scopo nobile nella posizione degli animalisti, i quali vorrebbero emanciparsi dalla violenza che è inscritta nell’ordine biologico della natura.
Lo stesso Gandhi, una figura che ha lottato con il metodo della non-violenza, ha condannato, durante la sua vita, la vivisezione e le forme più crudeli della sperimentazione farmaceutica sugli animali. Tuttavia, pur riconoscendo il valore morale della posizione sostenuta dagli animalisti, almeno da quelli esenti da ogni forma di fanatismo radicale, è fondamentale riaffermare il concetto essenziale che la natura è complessa e le sue leggi sono immodificabili. La natura non può e non deve essere ridotta ad ideologia da chi è animato da una forma radicale di fanatismo, poiché in questo caso diventerebbe impossibile continuare la ricerca scientifica per approntare le soluzioni chimiche, necessarie per sconfiggere le malattie più gravi e garantire il diritto alla vita alle persone umane malate.
In ogni caso ci si deve chiedere se in futuro, per effetto del progresso della tecnica, sarà possibile perseguire la ricerca farmaceutica senza essere più costretti, come accade in questo nostro tempo, a ricorrere alla sperimentazione sugli animali. Nel Settecento, Immanuel Kant con il suo famoso imperativo categorico indicò all’umanità il dovere etico di agire trattando gli altri esseri viventi sempre come un fine e mai come un mezzo per esaudire le proprie necessità. Se è fondamentale sul piano etico superare l’utilitarismo, almeno nel campo della ricerca farmaceutica, non bisogna dimenticare, come ha osservato lucidamente il teologo Vito Mancuso, che esiste il valore strumentale degli esseri viventi, per cui la loro presenza può, per uno stato di necessità intrinseco alla natura, essere indispensabile per assicurare la sopravvivenza della vita umana.
Lo steso James Joyce, nella prima parte del suo grande libro “Ulisse”, attraverso il personaggio principale del romanzo riconosce che l’uomo per sopravvivere è costretto a sopprimere altri esseri viventi. Agli animalisti che hanno in modo violento aggredito con espressioni gravemente offensive la giovane Caterina, ragazza intelligente e sensibile, sfugge che vi è una differenza profonda tra la realtà, regolata dalla dura necessità, ed il mondo degli ideali, che si situa in un altrove dove devono essere proiettate le nobili aspirazioni umane.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:08