Vicini al fallimento, “esplode” la rabbia

L’anno nuovo ci spalanca un panorama ben più desolante del vecchio: “la disoccupazione - spiegano a bassa voce gli esperti - deve necessariamente salire di almeno altri quattro punti percentuali entro la primavera del 2014, perché più stipendi si pagano meno soldi rimangono nelle casse d’aziende pubbliche e private”. Montano esasperazione e rabbia sociale, e la disoccupazione (sempre secondo gli esperti) avrebbe ormai fatto il “salto di qualità eversivo”: la dimostrazione di questa tesi starebbe tutta nella lettera esplosiva giunta alla Prefettura di Napoli il 31 dicembre, l’ultimo giorno dell’anno. Il gesto ha chiaramente un alto contenuto eversivo perché ha raggiunto il “Palazzo di governo” a Napoli, simbolo dello stato centrale in una delle periferie meridionali più colpite dalla crisi.

La lettera esplosiva, che ha ferito la segretaria del prefetto Francesco Antonio Musolino, conteneva un biglietto che denunciava quanto i disoccupati siano lontani da una serafica rassegnazione, da un desiderio di lasciar perdere la lotta. Digos e Ros, coordinati dal procuratore aggiunto Fausto Zuccarelli (a capo della sezione antiterrorismo della Procura), concordano tutti che “l’episodio non ha precedenti”. E le indagini sarebbero tutte rivolte verso l’indigenza arrabbiata, i “senza casa pericolosi”, i “disoccupati arrabbiati e non rassegnati”. Lo Stato ha raccolto il guanto di sfida degli esclusi e pare intenda accorciare i tempi di una resa dei conti tra la benestante dirigenza e la popolazione indigente, quella fatta di “pesi morti e zavorra” secondo certi consiglieri del Governo. Tutti concordano sul fatto che, l’esplosivo usato, la tecnica d’innesco e la sobria ed “istituzionale” fattura del plico, dimostrano che non si tratterebbe del gesto isolato dell’uomo di strada stritolato dalla crisi.

Del resto a Napoli da tempo si è creato il giusto clima che ha favorito solide saldature tra “area antagonista”, “disoccupati organizzati”, disubbidienti vari e formazioni minori. “Il salto di qualità non può che estrinsecarsi colpendo lo Stato su due fronti - ci spiega un anonimo esponente dei comitati di lotta napoletani - attraverso azioni eclatanti e rivolte spontanee di popolo”. Se ieri, negli anni Settanta, il fenomeno eversivo veniva incarnato da sparuti gruppi extraparlamentari, oggi la sensazione è che ampie fasce della popolazione potrebbero aderire ad un compatto fronte rivoluzionario”.

A gettare benzina sul fuoco è certamente l’attuale politica economica e la sempre più forte esclusione sociale dai redditi. A gennaio un ulteriore 40% delle attività verrà dismesso, e sul fronte della grande industria è imminente l’abbandono totale dell’Italia da parte della Fiat. L’accordo dell’ex colosso torinese con Veba su Chrysler permette all’ex industria italiana dell’auto di detenere il 100% di Chrysler, ma impone che Marchionne non produca più nemmeno un bullone nel Belpaese. Tutti gli analisti sottolineano la struttura dell’accordo, che limita l’esborso diretto da parte di Fiat per pagare la quota di Veba, ed esclude la necessità di un aumento di capitale. Gli investitori si fidano, il titolo cresce e non c’è bisogno di aumenti di capitale.

Ma c’è anche il rovescio della medaglia, e cioè che chi ha dato fiducia in borsa alla Fiat ora vuole vedere i fatti: in primis l’abbandono totale di ogni struttura produttiva in Italia. La struttura patrimoniale Fiat oggi non ha più alibi né può permettersi emozioni dal gusto tricolore: la liquidità di Marchionne è vincolata ad investimenti sul territorio Usa, al massimo in Gran Bretagna. I broker sono stati chiari: il valore delle azioni Fiat calerebbe se in borsa solo si ventilasse la possibilità di investimenti in Italia. La cifra pagata dal Lingotto per il controllo totale di Detroit è stata inferiore a quella stimata delle banche d’affari, e perché Marchionne ha promesso che l’azienda non avrà più nulla a che fare con l’Italia: se certe promesse venissero disattese, la borsa (che sappiamo essere davvero umorale) si vendicherebbe.

L’Italia è ormai prossima al default, la Troika sta per atterrare a Roma, pronta a chiedere un’ipoteca europea sul patrimonio immobiliare pubblico e privato. Anche l’uomo della strada ha ormai chiaro il sentore della fine: lo si può facilmente evincere dai saldi, iniziati ieri in Campania e Val d’Aosta e domani nel resto d’Italia, ma già è noto che non saranno in grado di far ripartire il settore. Secondo il Codacons: “gli acquisti segneranno una riduzione media del 12,5% rispetto ai precedenti saldi invernali, e solo il 35% delle famiglie italiane farà qualche acquisto durante gli sconti (contro il 40% del 2013). La spesa media non supererà quota 200 euro”. All’Italia sta per toccare una sorte ben più triste di quella della Grecia, perché i signori dell’euro sanno bene che lo Stivale è ricco di beni da saccheggiare, da inserire nel fallimento. Quando a fallire erano le corone, toccava al monarca pagare, che perdeva beni e ricchezze di ogni sorta.

Oggi il default tocca lo Stato, quindi ai cittadini tutti tocca finire per stracci. Non interessa più nemmeno la polemica tra euro-favorevoli ed euroscettici. In questo 2014 va di scena l’economia di guerra, chi evade le tasse lo fa per garantire scorte per la propria famiglia, chi non paga bollette e balzelli lo fa perché certo che tra qualche mese nemmeno l’esattore riceverà più uno stipendio. Ma in economia come in fisica, chimica e politica nulla si crea e nulla si distrugge, tanta feccia forse concimerà una nuova Italia, la rediviva sovranità nazionale.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 20:18