
Finisce male l’anno per il mondo dell’editoria e per i giornalisti. La profonda crisi economica continua. Nelle aziende è un susseguirsi di prepensionamenti, ricorso alla cassa integrazione, contratti di solidarietà, ristrutturazioni, piani industriali. Il declino non si arresta. I bilanci sono in rosso. Poche le idee e i programmi per investire. La tendenza è negativa, nonostante lo sviluppo del digitale e dell’on-line. I finanziamenti stanziati dal Governo per l’editoria sono di scarsa entità (120 milioni di euro in tre anni). Anche la Rai ne subisce le conseguenze con il blocco dell’adeguamento all’inflazione del canone, con l’impegno di battere la strada della lotta all’evasione che raggiungerebbe i 500 milioni di euro. Alcuni giornali come il Corriere della Sera e Il Giornale hanno deciso di aumentare il prezzo in edicola, anche se una simile soluzione ha sempre comportato un’ulteriore riduzione delle copie vendute.
Preoccupante il calo degli introiti pubblicitari. A fine anno si fanno anche i bilanci dei rischi che incontrano i giornalisti nell’esercizio della loro professione. L’organizzazione “Reporter senza frontiera” ha reso noto che nel 2013 sono stati uccisi 71 giornalisti, in particolare nei Paesi in cui sono in corso grandi conflitti sociali ed etnici come Siria, Pakistan, India, Filippine. La maggior parte degli omicidi riguardano gli appartenenti alla stampa scritta, alla radio e alla televisione. È stato poi registrato nel corso degli ultimi 11 mesi un alto numero di sequestri, anche di cronisti italiani. In base ai dati in possesso del “Committee to Protect Journalists” il 2013 è stato il secondo peggiore anno di sempre per quanto riguarda i reporter sbattuti in prigione in conseguenza del loro lavoro.
I giornalisti finiti dietro le sbarre in tutto il mondo sono stati 211. L’Italia non ha fatto eccezione poiché è stato l’unico Paese dell’Unione europea inserito nella lista nera. È uno dei pochi, infatti, in cui la diffamazione resta un reato penale punibile con la reclusione. Si verifica anche spesso che i giornalisti siano costretti a pagare multe o cauzioni molto salate per non andare in carcere. È ancora la Turchia, come gli anni passati, con 40 giornalisti in prigione il Paese che detiene il record negativo della pressione e dei condizionamenti sulla stampa. Al secondo posto la Cina con 32 casi, dove nel corso del 2013 sono scoppiate alcune clamorose ribellioni contro il regime di restrizioni alla libertà di stampa nazionale ed estera. Solo sul finire dell’anno il governo cinese ha rinnovato gli accrediti annuali e i visti a tutti i reporter stranieri.
Pechino usa il rifiuto o il rinvio della concessione come uno strumento di pressione sulla copertura giornalistica. In Italia il rischio maggiore dei giornalisti sono le denunce per diffamazione. Se ne fa un uso spropositato. Rarissime volte il colpevole delle querele temerarie è punibile con una sanzione esemplare. Il giornalista spesso è condannato in primo grado per poi essere assolto con le formule “per non aver commesso il reato” o perché il fatto non costituisce reato avendo esercitato correttamente il diritto di cronaca. Uno degli ultimi casi è quello del giornalista Claudio Del Frate, condannato in primo grado ad un anno e 4 mesi di reclusione e al risarcimento alla parte lesa di 120mila euro in sede civile. Il 16 dicembre la Corte d’Appello del Tribunale di Milano ha annullato la sentenza e insieme alla responsabilità penale è caduto anche l’obbligo del risarcimento. L’articolo scritto su “Varesenews.it”, in cui il giornalista criticava un provvedimento della giunta leghista di Morazzone (Va) nel 2006, era veritiero.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:13