Palazzo contro piazza sulla “legittimazione”

“Movimenti scomposti… privi della benché minima legittimazione democratica”, da giorni questo sentiamo ripetere circa le proteste, i Forconi ed il Movimento 9 dicembre. A rivolgere queste accuse, non permettendo alcuna replica, sono i soliti personaggi di quella compagnia di giro politico-giornalistica che appesta programmi e tiggì, come del resto le prime pagine della stampa benpensante. Chi protesta viene di volta in volta definito con epiteti quali barbaro, villico, incolto, fascista e “lavoratore autonomo dedito all’evasione fiscale”.

A ben guardare, chi usa queste argomentazioni contro la gente in piazza sono i soliti professionisti “democratici” della politica, ed in buona compagnia di giornalisti complici del palazzo (le cosiddette penne e lingue istituzionali). La protesta ha fatto la sua fugace apparizione anche nei contenitori televisivi quotidiani: “Non comprendo il motivo… non capisco perché questa gente si agiti tanto”, stigmatizza un’elegante e piacente damina. Ecco che tra palazzo e piazza vengono erette le misure di sicurezza: a meno di 40 metri non è più possibile avvicinarsi a ministeri ed aule varie di Roma. Poi la polizia impedisce l’accesso alle strade nei pressi di Camera e Senato, ma solo a chi non è vestito tra l’elegante ed il formale: in parole povere c’è divieto di transito per chi non ostenti opulenza degna del palazzo.

Chi dovesse chiedere di passare con insistenza, verrebbe lestamente identificato dagli armigeri di Stato. Misure che stanno ancor più dividendo in due il Paese, dimostrando che scorte e camionette hanno ordini precisi di difendere la “gente importante”. Fosse accaduto trent’anni fa, le sinistre tutte avrebbero paralizzato l’Italia. Ma oggi il Paese è rigidamente in mano agli ex Pci, che non vogliono dialogare con chi protesta, reputando di avere ampia legittimazione nell’opera di repressione del dissenso. È vaniloquio anche l’accusare i vari movimenti di non avere “legittimazione democratica”. Perché la legittimazione democratica si ha col voto, ma l’uomo del Colle (Napolitano) s’è premurato di avvertirci che, fino a quando sarà presidente, l’Italia non potrà recarsi alle urne.

Le dichiarazioni di Re Giorgio hanno messo d’accordo tutto il nuovo arco parlamentare, da Alfano a Letta passando per Vendola, Casini, Mauro e compari. Forse Matteo Renzi non approva, vorrebbe misurarsi col voto, ma non gli rimane che fingersi complice, recitare anche lui la parte del nemico della piazza: è stato da poco eletto segretario del Partito Democratico, e s’è subito reso conto del fatto che la dirigenza interna è inamovibile, che i 40 milioni di euro di finanziamento pubblico non li può restituire, pena il defenestramento da segretario. Grillo lo sa, ed ha subito detto a Renzi che se ha le palle “deve restituire il contributo allo Stato, quindi ai cittadini, come ha già fatto il Movimento 5 Stelle”.

Renzi ribatte a Grillo di firmare insieme un patto di legislatura, per riforme varie e leggi-papocchio tante: il leader genovese lo manda a far umani bisogni. Renzi è davvero in difficoltà, da ex rottamatore è costretto a reggere il moccolo ad un partito di vecchie e giovani cariatidi dichiaratamente contro le istanze della piazza. Grillo e Berlusconi non sono affatto d’accordo, anche se entrambi da diverse posizioni reputano non si possa ergere un muro tra Governo e popolo. Anzi, siamo al paradosso che un Governo abusivo accusa il popolo di “mancanza di legittimazione democratica”.

Ma chi ha legittimato l’attuale Esecutivo, non è forse il risultato di un rimpallo tra Napolitano e gli eletti illegittimi? Siamo al cospetto di reciproche investiture, roba da corte, da ancien régime: sembra quasi di assistere alla “truffa della collana”, o ai tanti espedienti per fare carriera nelle corti ordendo piani per guadagnare denaro e potere, grazie alla presentazione di belle donne di facili costumi o donando monili a potenti commis di Stato. Può “l’ordine della giarrettiera” comprendere le esigenze di pancia dei Forconi? Ecco che per bocca della corte rispondono i soliti intellettuali stipendiati da tivù e giornali: “Questi forconi scendono in piazza solo per motivi di stomaco, dietro queste rivolte non c’è alcuna finalità culturale, morale, politica… è solo la pancia del Paese”.

Alfano ormai si sente il gendarme d’Italia, dice che non ci saranno sconti, che verranno smantellate le tendopoli messe su dagli indigenti. Nell’aria ci sarebbe anche un decreto contro il vagabondaggio, teso a permettere l’arresto dei senza fissa dimora: una risposta ai “movimenti per la casa”? Nel frattempo, visto il clima, si consiglia al titolare del Viminale di indossare un bel cappotto di Astrakan e di calzare una costosa lobbia: assomiglierebbe tanto al cummenda che in “Miracolo a Milano” chiede che vengano arrestati barboni e vagabondi.

La “legittimazione democratica” è proprio finita in soffitta, c’è da credere che sul Colle gradiscano restaurare, e per il bene dell’euro, la “divina investitura”, la legittimità a governare di monarchica memoria. Un bel re rosso, un re comunista buono per far credere al popolo che è dalla parte giusta, che tutto continuerà come prima. Che forconi e fame non esistono, che in Italia si sta bene, che lo Stato ha sventato un golpe organizzato dai disoccupati.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:48