
In molte case, tra tanta gente che non manifesta, né alza la voce, c’è stato un grande cordoglio, spontaneo, immediato, profondo. Un dolore forse accresciuto dal momento, che, notizia dopo notizia, allarme dopo allarme, fa tremare le coronarie a tanti. Forse, tra tanto pessimismo, fastidio e rassegnazione, la morsa della notizia ha fatto in tanti scattare un impeto rabbioso. Goccia che fa traboccare il vaso, essa si è sparsa, nelle chiacchiere telefoniche e condominiali, ben oltre quanto il dosaggio dei media prevedeva; ben oltre allo spazio effettivamente concesso.
Ci sarebbe da chiedersi perché la morte di Angelo Rizzoli, detto Angelone sia stata tanto condivisa da gente di ceto diverso e di terre diverse. Solo i più vecchi possono ricordare l’epopea del nonno Angelo e quella del padre Andrea, quando i Rizzoli erano i più ricchi di Milano ed erano padroni del Milan. Solo i più specialisti in questioni giudiziarie hanno potuto seguire tutte le sofisticherie giudiziarie accanitesi sul giovane Angelone durate trent’anni, pari solo alle numerose malattie che fin da giovane lo hanno perseguitato, incrociandosi poi con la reclusione in quell’ospedale Pertini che dopo la morte infamante ivi avvenuta, non può togliersi il vero nome di ospedale Cucchi. Tante cose la gente non le sa, non le può sapere, non ha il tempo materiale da dedicare loro. Ha capito però che questo 70enne, in sedia a rotelle, era stato fatto girare tra carceri e ospedali reclusori , sale operatorie e di rianimazione, mentre era in fin di vita e che lo si era, con l’ennesima accusa, arrestato con velocità fulminea.
A tanti era anche suonato strano che per lui non insorgesse un comitato, un club, un partitino. Urlava l’assenza, per tanta disumanità, di uno dei soliti digiuni di uno dei tanti radicali, o dei nuovi appostatisi nelle trincee Pd. Le persone qualunque, passeggiando sotto grandi foto di donne, uomini e bambini, vittime in altri paesi, che loro non dicevano, né dicono niente, si chiedevano come mai quei volti estranei importassero tanto alla politica ed ai media, come se lo strazio di un uomo il cui nome figura tutt’oggi nella toponomastica milanese (grazie al nonno), non meritasse il minimo rispetto dei diritti umani. Di fatti alla politica ed ai media più forti niente importava ed importa di quel concittadino ormai morto. Anche quando erano costretti ad enumerare le decine e decine di malattie che tormentavano Angelone, non potevano rinunciare al preambolo, nel quale indicavano la peggior piaga che aveva rovinato per sempre le tempra del rampollo di famiglia, un tempo invidiato: la piaga P2.
Dicevano politica e media: è tanto malato, ma era della P2. Sussurravano i finanzieri: era stato tanto imbrogliato, ma era della P2. Volevano aiutarlo i no profit: ma era rimasto amico di quelli della P2. La gente non sa tante cose, non le può sapere, non ha il tempo materiale da dedicare loro. Ricorda che esiste una cosa chiamata P2 e l’assimila all’Aids o all’Ebola. Non sa effettivamente cosa faccia. A lungo la leggenda raccontò che la P2 faceva colpi di stato e piani autoritari ridenominati rinnovamento, ma non ci sono mai stati tanti coup d’État da quando la P2 non c’è più, e l’unico governo che tirò fuori il piano rinnovamento fu quello D’Alema. La leggenda dice che la P2 teneva in mano tutti i poteri finanziari, accademici e forti, ma non si capì mai come fecero le sorti ad essere tanto diverse, tra uno dei maggiori esponenti di quel gruppo, che a quanto pare ne fu anche vittima, mentre uno dei principali giornalisti, partecipe della stessa comitiva, fece dopo una straordinaria carriera sorretta a destra come a sinistra. Le superstizioni sono efficaci nel loro sorgere, ma a forza di essere raccontate senza validazioni, diventano la caricatura di se stesse.
Uno dei pochi film americani che non ha convinto per i contenuti è proprio l’atto terzo del Padrino, dove, sulla base di quanto raccontato loro dall’Italia, i Coppola provarono a dare carne e sangue alla P2. Ne uscì un fumetto rodariantravagliesco, dove i cattivi della P2 ammazzavano insieme il neo pontefice Luciani, il capo dello Ior ed i leader P2. Così, la gente, al sentire ancora accusare Angelone, tra tante malattie vere, della falsa malattia di piduismo, gli si avvicinava di più, come si faceva con la strega, al sentir dire minchionate all’inquisitore, negli ultimi anni di quella non benedetta istituzione. Il viso grosso, gentile, indifeso e naive di Angelone suggeriva ai più un altro fumettone, molto più verosimile. In questo, c’erano tante persone cattive, malvagie, la cui cattiveria è stata premiata in questa vita dalla ricchezza, dal potere, dall’ossequio.
C’era una moglie, già nudo patinato della commedia boccaccesca, che lo abbandonava, spolpando ricchezze; c’era il primo gruppo industriale italiano, che approfittava dell’incarcerazione dell’Angelone, per sottrargli il primo quotidiano d’Italia; c’era il primo istituto finanziario che spalleggiava il ladrocinio. Paradossalmente Angelone, che era nella P2, pur non essendone granché interessato, finiva per consegnare quel quotidiano alla direzione di due giornalisti nemici, voluti da Pci e sindacato interno. Un coacervo di uomini e donne, come i draghi e le streghe delle favole, tutti diversi e tutti accomunati a distruggere, impoverire, incarcerare la buona vittima. Questa, uscita a fatica, come il conte di Montecristo, da tante macerie, dopo quasi tre decenni, avrebbe voluto ottenere soddisfazione dai malvagi di cui sopra.
Non siamo però in un romanzo di Dumas. Gli stessi che avevano distrutto Angelone una volta, e che si trovano sempre in sella, direttamente o sotto le spoglie di figli e nipoti, si sono subito liberati di questa voce rivendicativa della verità. Giù nuove accuse, giù nuovi processi, aggravati dall’amicizia per Berlusconi, anch’egli nome P2 e dalle seconde nozze con una dottoressa, anch’essa malatissima, ma plagata dall’essere deputata Pdl. Il fumettone popolare chiude le sue pagine nel pianto per le caprine motivazioni con le quali Angelone, viene apposta separato dalla moglie medico, incarcerato e martirizzato. I fumettoni, si sa, semplificano la realtà e banalizzano la verità. Tra quello del preambolo accusatorio e quello popolare, non c’è dubbio però su chi meriti la verosimiglianza. È appena uscito un volume dal titolo “Bettino Craxi, dunque colpevole”, che durante la presentazione Berlusconi ha proposto di cambiare, sostituendosi da colpevole per postulato al leader socialista.
Craxi combatté e Berlusconi combatte. Angelo Rizzoli, invece, voleva preservare un’azienda, voleva salvare un quotidiano, voleva difendere un nome, voleva produrre film; voleva essere un imprenditore, magari non così grande come il nonno. Non voleva dominare il mercato, vincere la Champions, fare politica. Incappò invece nelle lotte di demolizione anzitempo contro i Craxi ed i Berlusconi e prese, senza avere appropriati giubbotti antiproiettile, tante mitragliate anche quando era ormai a terra. Incolumi, orribili nei loro sorrisi, assurdi quando parlano di etica, i tanti responsabili dell’agonia di una vita, camminano tracotanti. Non riceveranno mai però dalla gente quel moto di commozione, condivisione, comunione avutesi nelle case alla notizia della dipartita di Angelone. Sul volto di Rizzoli, anche all’ultimo, dominava la bonomia.
Invece tra la gente che non manifesta, né alza la voce, questa volta, accanto alla lacrima, la bocca si torceva in una rabbiosa e vendicativa stizza. In nome di Angelo Rizzoli, dunque colpevole.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44