Primarie del Pd, riflessioni a freddo

Primarie dall’esito scontato ma risultato rotondo oltre ogni aspettativa. E così Renzi, vissuto da sempre come corpo estraneo dalla componente dominante del Partito Democratico, espugna il fortino rosso travolgendo un apparato abituato a controllare capillarmente il territorio mettendo la mordacchia a qualsiasi moto in modo tale da renderlo solo apparentemente spontaneo. È finita un’epoca e lo si legge chiaramente negli occhi persi dei grigi funzionari del Pd, ormai divisi in “irriducibili” che tentano di svegliarsi dal torpore per organizzare un’opposizione interna e “previdenti” che hanno pensato di salire per tempo sul carro del preannunciato vincitore.

Se da un lato quindi i dalemiani, come da manuale togliattiano, organizzano un correntone contro Renzi per rendergli il partito una palude insuperabile (conoscono molto bene le tecniche di guerriglia politica), dall’altro i veltroniani si muovono con l’arrendevolezza benevola di chi è pronto a scendere a patti ma anche a colpire nel caso il sindaco di Firenze non voglia addivenire ad un compromesso reciprocamente fruttuoso. Il nostro Matteo, dal canto suo, si atteggia con la faciloneria baldanzosa di chi, forte di un plebiscito interno, dice spacconate di facciata, inconsapevole che l’apparato non perdona e lo lascia fare col fine ultimo di mandarlo fuori strada alla prima curva o cuocerlo a fuoco lento.

Prendete Letta per esempio: se la ride nel sentire il suo nuovo segretario dire che da oggi la linea del Governo va concordata con i vertici del Pd. Ride per il semplice motivo che, se il Governo continuasse a muoversi da battitore libero, Renzi avrebbe come unica alternativa quella di invocare le elezioni facendo fuoco amico su un Governo a guida Pd utilizzando una legge elettorale che, rebus sic stantibus, vedrebbe mortificata la sua vocazione maggioritaria. Matteo non lo sa ma è già all’angolo e siamo pronti a scommettere che il Pd (con la complicità degli alti vertici dello Stato) sarà il primo ad ostacolare ad oltranza qualsiasi riforma elettorale usandola come pistola alla tempia del suo segretario che non toccherà palla per molto tempo esaurendo così l’effetto propulsivo delle primarie.

Se il rottamatore avesse ascoltato Prodi che, da vecchio democristiano, gli aveva consigliato in ogni modo di non entrare a gamba tesa nelle dinamiche di un partito che normalmente tende ad ammazzare i propri leader, forse oggi non sarebbe sull’orlo di un suicidio assistito ed avrebbe vita leggermente più facile. Solo leggermente perché la vera prova del nove non è chiacchierare bene ma fare i fatti. Ma quando credevamo che una vittoria scritta sul ghiaccio fosse la sorpresa maggiore, il discorso di investitura del neosegretario del Pd ha aperto un mondo che non credevamo potesse appartenere al novero delle cose possibili a sinistra. Renzi ha fatto un discorso di destra e la cosa più simpatica è che l’uditorio ne era entusiasta.

Orazione funebre? Sicuramente lo è per la sinistra visto che il neosegretario ha mostrato un velato euroscetticismo, passando dalla delusione di chi afferma di aver conosciuto l’Euro ma non l’Europa, alla descrizione di una politica nostrana succube dei diktat di quattro burocrati che da Bruxelles decidono i bilanci mortificando la Nazione. Sono considerazioni sbagliate? No, assolutamente. Peccato che fino a ieri certi ragionamenti venivano definiti dal Pd come appartenenti alla irresponsabile deriva euroscettica delle incolte destre. Inoltre, e qui sappiamo che Renzi pensava più a sé che alla sinistra, la sua idea di nuovo assetto costituzionale non è apparsa propriamente in linea con la naturale manfrina sulla Costituzione più bella del mondo in quanto si è esercitato in architetture costituzionali (il sindaco d’Italia) che con malcelata retorica si avvicinavano al presidenzialismo più volte evocato dalla destra.

Anche in questo caso, se da una parte siamo sicuri che qualcuno troverà certamente una proposta fatta negli anni passati dalla sinistra in tal senso, dall’altra parte è indubitabile che si tratti di un cavallo di battaglia tanto caro allo schieramento politico opposto. Ancora, come definire l’attacco frontale al sindacato, dipinto come un elefante che ingessa la riforma del lavoro, che mortifica la cultura meritocratica e che deve cambiare perché così non ha ragion d’essere? È di sinistra un’idea di scuola nella quale i professori riacquistino (finalmente, ndr) la loro dignità di guida e non di interlocutori paritari con gli studenti? Il riconoscimento dell’autorità dell’educatore nel sistema scolastico è un concetto ottimo ma usualmente non della sinistra cui piace occupare. Siamo consapevoli che quella fin qui descritta potrebbe essere una nostra pessima interpretazione degli aventi, non crediate che tale eventualità sia stata scartata a priori.

Se così fosse, sappiate che siamo in ottima compagnia perché qualche anno orsono L’Unità definiva fascistoide il concetto di rottamazione, l’onorevole Bindi spiegava Renzi come figlio del ventennio berlusconiano, molti quotidiani alludevano maliziosamente al fatto che costui piacesse a Briatore, Fassina lo accusava di ripetere a pappagallo idee di destra, mentre Cuperlo lo ha recentemente definito la faccia buona della destra. Forse non ci siamo discostati troppo dalla realtà. Addio sinistra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:51