Il cittadino europeo proprio non esiste

I cittadini europei hanno un passaporto comune, ordinamenti comuni, una moneta comune. Ma non hanno una lingua comune. Né può dirsi che li accomuni la religione cristiana. Non alla stregua di una fede sentita e vissuta. Forse come vestigia di un antico passato. In verità, che cosa tenga unita l’Europa è difficile a dirsi, quanto è impossibile anche soltanto intravedere i lineamenti di un patriottismo europeo.

Ma, di chi dovrebbe, nessuno fa nulla per cercare di plasmarlo davvero un cittadino dell’Unione, un individuo che, dimenticando il Paese che gli ha dato i natali, senta di dover dire con orgoglio “civis europaeus sum”. Un cittadino viene formato dalla famiglia, dalla scuola, dalle istituzioni, che appunto sono assenti in quest’opera educativa. Non esiste alcuna occasione unificante, cerimonia coinvolgente, festa accomunante, che leghi nello stesso istante il pensiero e l’azione dei giovani europei, inducendoli a sentirsi un unico popolo affratellato nella nazione continentale. Come possiamo integrare lo straniero se noi stessi europei siamo lontani dall’esserlo? Una coscienza politica unitaria manca del tutto. Andrebbe costruita come i muri, cominciando dal basso, contrariamente all’Unione, che è stata edificata partendo dal tetto.

Mancano una mistica dell’europeismo ed una liturgia europeistica. E manca soprattutto un programma didattico comune che, partendo dalla scuola, ponga le basi di una cultura europea che non sia soltanto la sommatoria delle culture degli Stati. “Ebbene – ha scritto il sindaco di Londra – ho una proposta da fare agli eurocrati: se volete ricostruire una cultura comune europea dovete ritornare alle sue radici, e proporrei, molto modestamente, di iniziare con un unico libro dell’Eneide, solo uno, che tutti i ragazzi dell’Ue dovrebbero leggere entro i sedici anni, in modo da avere non solo qualcosa in comune con gli altri cittadini (e per di più qualcosa di bello) ma anche con l’ultima epoca in cui l’Europa fu unita. Agostino scrive che aveva pianto di più per la morte di Didone che per quella del suo salvatore.

Che ne dite, allora, del libro IV, il più bel libro del più bel poema del miglior poeta?” (Boris Johnson, Il sogno di Roma, Milano, 2010, pag. 95). Delle molteplici e talvolta impensabili materie trattate dagli organi dell’Unione europea, che hanno giustamente meritato agli eurocrati la taccia di neurocrati, la coltivazione del senso civico comunitario non fa parte. Mentre dovrebbe esserne la principale occupazione e preoccupazione. La bolsa retorica europeista italiana tace a riguardo, anche per riflesso di una pubblica istruzione stupidamente protesa verso un’indefinibile modernità e indotta a dimenticare l’immenso patrimonio della classicità. Fra poco i cultori del latino e del greco dovranno essere protetti da leggi speciali e convenzioni internazionali, come animali rari.

L’Ue, oltre a fissare gli standard materiali e legali, dovrebbe imporre le quote di studio delle lingue classiche, sia per forgiare i futuri cittadini europei, collegandoli alle origini di una comune civiltà, sia per evitare che il più imponente lascito della storia scompaia per sempre dalla vista degli immeritevoli eredi. Chi, se non l’Italia, dovrebbe farsene paladina, acquistando pure peso e credito nell’Unione?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:51