Testamento de España, sconcertanti analogie

Melchor de Macanaz è un nome che dice niente a quasi tutti. È un letterato spagnolo nato nel 1670 che, per sfuggire all’Inquisizione, riparò in Francia, dove trascorse la maggior parte della vita in esilio. Richiamato in patria con un tranello, fu arrestato e imprigionato fino al 1760, quando morì, passando gli ultimi giorni in libertà. Il suo libello “Testamento de España” finge di raccogliere le ultime volontà della Spagna morente. Eppure, si tratta di “una gemma letteraria senza tempo, piena di sconcertanti analogie con il presente italiano”. Ennesima prova, come notava Sciascia, che la letteratura può essere la migliore storia e svelare la verità. Merita, ancora una volta, il plauso dei lettori la decisione di “Liberilibri” di pubblicare un simile gioiello, curato, prefato, tradotto con passione e acribia, anche filologica, da Alessandra Battistelli (Melchor de Macanaz,“Testamento de España”, Liberilibri, Macerata, 2013, pagg. 106, € 15,00).

Il testo, per quanto breve, contiene osservazioni acute di valore universale. L’autore “nomina” nel testamento tutte le entità, persone, vizi, virtù, istituzioni, che campeggiavano nella Spagna settecentesca avviata ad un ineluttabile tramonto dopo i fasti del Secolo d’Oro. C’è n’è per tutti e c’è solo l’imbarazzo della scelta. Come ogni testamento che si rispetti, la moribonda Spagna detta le clausole “in nome dell’Eternità e della Memoria” e dichiara “al cospetto del Notaio, la Storia, nominando come testimoni il Tempo e la Verità, come curatori ed esecutori testamentari l’Inganno, l’Ambizione e l’Ignoranza”. In primo luogo “lascio come attributo alla mia Nazione il dono del Malgoverno, affinché mai in nessuna epoca si possa approvare un progetto utile al Popolo, né si azzecchi quanto convenga ai miei Stati”.

“Ordino, su richiesta dell’eccessivo numero di delinquenti, che sia bandita dai miei Regni la Giustizia, affinché coloro che meritano il più rigoroso castigo vivano privi d’inquietudini, e possa ognuno campare secondo la Legge che più gli aggrada”. “Istituisco nel carattere della mia Nazione la Superbia che, in quanto madre dell’indolenza e dell’ignoranza, fisserà la sua dimora nelle terre del Regno”. “Ordino, conseguentemente, di esiliare il Merito, in modo che saranno presi in considerazione quegli innumerevoli uomini che ne sono privi e che, senza di esso, saranno piazzati in posti di favore, che sarebbe invece più esatto dichiarare vacanti. Per ovviare a tali inconvenienti, metto al bando le Università, il Corpo Militare, lo Stato, il Clero, e infine ciò costituirà un freno agli Innovatori, e ai perturbatori della pubblica tranquillità, e ci saranno due custodi alla porta: l’Incapacità e la Dissennatezza”.

“In merito all’abbondanza delle Leggi, da cui deriva un Caos indefinibile, comando che non si facciano riforme né compendi, piuttosto, se possibile, si aumentino le leggi con il pretesto di chiarirle sì che, grazie a tal confusione, resti alterato il Diritto Naturale, dubbioso il Giudice che emette la sentenza e privo di fiducia l’Imputato”. L’Epitaffio ci dice che la Defunta, “povera di saggezza”, cadde in rovina.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:15