Falchi e colombe? Macché, gazze ladre!

Venne il giorno della rinascita di Forza Italia ma nessuno se ne accorse: niente bandiere, nessuna festa, nessun miracolo italiano, un solo cauto e funereo discorso di Berlusconi. Ci fu anche la scissione ma senza strappi, divisioni, accenni di competizione per conquistare l’elettorato moderato, niente di niente. Chi vede l’inizio della fine del berlusconismo in tutto ciò, si sbaglia perché Silvio ha mille vite ed una serie infinita di assi nella manica ma, nello stesso tempo, chi scorge in questo momento buio per il centrodestra il prodotto di una serie di grandi errori, non va troppo lontano dalla realtà.

A distanza di un ventennio dalla sua discesa in campo, è ormai chiaro che il più grande difetto del Berlusconi politico è quello di non sapersi scegliere i collaboratori. Senza andare a scomodare i vari Vittorio Dotti o Giorgio Rebuffa, Tiziana Parenti, Carlo Scognamiglio, Alessandro Meluzzi e tutti quelli che confluirono nell’Udr di cossighiana memoria, possiamo affermare che il simbolo della conclamata difficoltà di Berlusconi nel capire le persone, forse è incarnato dal ragionamento umorale che lo portò a preferire le fantasie economiche di Giulio Tremonti alle tesi di un mostro sacro come Antonio Martino. Si sa, il personaggio è quello che è: geniale, coraggioso, comunicativo ed istrionico ma decisamente poco abituato al confronto e fermamente deciso ad evitare coloro che per statura culturale e personalità potrebbero fargli ombra.

Se il Cavaliere si fosse affidato a gente come Martino o Marzano, adesso saremmo qui a raccontare un’altra storia e forse l’Italia sarebbe migliore e più libera. Invece abbiamo passato un ventennio a parlare di Fini, Casini, la finanza creativa di Tremonti, gli infortuni giudiziari di tanti alti dirigenti del centrodestra, i salti della quaglia, le cene eleganti ed una serie di circostanze evitabilissime che hanno di fatto vanificato l’annunciata rivoluzione liberale. Con Scilipoti, Razzi e De Gregorio credevamo di aver raggiunto inesorabilmente il fondo, ignari del fatto che l’ineluttabile destino ci riservava il tempo delle pitonesse, dei lealisti, dei falchi, delle colombe e dei falchetti.

Si tratta di un quadro chiaro? Esistono i falchi, irriducibili pretoriani del Cavaliere, e le colombe traditrici? Non è proprio così perché, a ben vedere, sono tutti un po’ gazze ladre interessate al bottino politico lasciato in dote dal Capo morente e tendono ad accapigliarsi come potrebbero fare due lavandaie intorno al corpo ancora caldo del genitore per ottenere l’eredità. Prendete i governativi ad esempio: ripetono in maniera ossessiva che Berlusconi è il loro leader e che loro stanno lì come gli ultimi giapponesi a presidiare l’Esecutivo per il bene del Paese e per tutelare il loro presidente cui sono legati da un vincolo inscindibile di fedeltà assoluta.

Peccato che la loro fedeltà sia durata fino a quando la linea del partito era quella loro e adesso si arrabattano in finte giugulatorie patriottiche per giustificare una condotta non proprio lineare. A parole vivono con la morte nel cuore questo strappo ma sono stati costretti ad operarlo per il bene dell’Italia e perché adesso hanno bisogno di dodici mesi per realizzare quello che in tutta la Seconda Repubblica nessuno ha voluto fare. Nei fatti invece si sono sentiti minacciati in quanto di più caro sentono di avere (lo scranno) e hanno cominciato a ringhiare come un cane quando gli togli l’osso. Poco importa se nel frattempo quelli del Pd gli mandano in galera il Capo perché loro gli vogliono un bene dell’anima e soffrono per le ingiustizie che deve subire.

Sembrano quasi dire: “intanto tu vai in galera che dal nostro bel ministero piangeremo per te quando sarai dietro le sbarre”. Non è dato sapere quale sia la loro strategia politica se non quella di chiedere dodici mesi al potere per far uscire il sole anche di notte ed il vino dalle fontane. Non si capisce cosa siano usciti a fare dal loro partito se nessuno ha apertamente ancora negato la fiducia al Governo Letta e se quindi, ufficialmente, manca la causa scatenante dello strappo. Sì, è vero, dicono che il partito era in mano agli estremisti ma non è che si può fare che “il pallone è mio per cui decido io chi gioca”. Se le colombe intendono accompagnare Berlusconi in galera cospargendo di miele il tragitto che porta alla casa circondariale, non è che i lealisti siano meglio.

Anche loro non hanno un progetto che sia credibile perché mirano solo a farsi consegnare il bacino di voti berlusconiano innescando una lotta contro il tempo (e contro gli alfaniani) prima che Berlusconi esali il suo ultimo respiro politico. Vogliono solo che Silvio strappi definitivamente con i governativi rendendolo una mummia da esporre in caso di elezioni fino ad un minuto prima che indossi il vestito a strisce bianche e nere. Va bene anche se ciò implica un governo Pd–Cinquestelle –Alfaniani, con una maggioranza “tassaiola” ed ancora più ostile al Cav. Questi sono dettagli che si verificherebbero a bottino incassato e padre nobile archiviato, quindi chissenefrega.

Rompere alla cieca significa aizzare un uomo visibilmente frastornato ma non è in sé una strategia politica perché, se non si ha un piano, far saltare il banco significa mandare il Capo a dare una musata e renderlo definitivamente irrilevante. Il più pulito ha la rogna insomma e mette in atto quanto in suo potere per fare la gazza ladra e razziare il razziabile nel momento di maggiore debolezza di Berlusconi. Poi vedi i falchetti, quattro ragazzotti buoni per l’aperitivo a Montenapoleone, senza un minimo di passione politica ma con l’unico pregio di essere fan di Silvio ed amici della Santanchè e capisci che il Cavaliere non cambierà mai.

Ha bisogno di circondarsi di yesmen, di fighetti che lo stiano ad ascoltare inebetiti e di persone che sulla carta rispondano a quello stereotipo di imprenditore o di uomo della partita Iva tanto caro “all’uomo del fare”. Ci vuole lucidità per capire che un movimento politico per funzionare deve essere interclassista e popolato da teste pensanti perché lo stupido ti tradisce con il primo che passa mentre la testa pensante può anche eventualmente consigliarti per il meglio prima di tradirti. Per fare politica c’è bisogno di essere abili a farla e non appartenere a determinate categorie perché altrimenti anche De Benedetti fa l’imprenditore ed anche Simona Ventura ha la partita Iva.

Ma tu no, caro Silvio, come Caligola vuoi fare segretario il primo Alfano che passa e metterlo in dubbio con una Santanchè qualsiasi se ti va, non capendo che i deliri di onnipotenza costano cari e non esistono soldatini che, scodinzolando, ti portano il giornale e le ciabatte a vita. Non ti è riuscito nemmeno con Emilio Fede, figurati con altri. Silvio è in difficoltà e non ha più il controllo dei suoi colonnelli, non è più in grado di tenerli buoni da tempo ed allora, stando a ciò che dice “radio serva”, potrebbe aver pilotato la scissione per equi-distribuire il patrimonio e mantenere il timone: da una parte gli alfaniani al governo pronti ad essere subito ospitati nella coalizione in caso di elezioni e dall’altra i falchi pronti ad occupare Forza Italia con annessi fondi a disposizione.

A suffragare tale tesi contribuirebbero i toni stranamente ovattati con cui sarebbe stata vissuta tale scissione con contestuale accoglimento dei dissidenti nella coalizione (ad opera di Berlusconi) senza nemmeno un po’ di purgatorio. Ciò consentirebbe anche a Silvio di prendere tempo cercando di venir fuori dalla vicenda decadenza verificando nel contempo se sussistano realmente gli estremi per la riapertura del processo che lo ha visto soccombente. Il tutto controllando contemporaneamente sia un partito di governo che uno di lotta in modo da partecipare al processo decisionale dell’Esecutivo senza cedere troppo in termini elettorali, vista la sofferenza nei sondaggi secondo i quali il bacino di riferimento non gradirebbe le larghe intese.

Sarà vero? Tutto può essere ma ciò implicherebbe un centrodestra cinico, ordinato, compatto ed in grado di elaborare strategie argute e di lungo periodo. Possibile ma non probabile. Conoscendo i nostri polli, propendiamo per la tesi delle gazze ladre. A questo punto, se la nostra tesi fosse attendibile, solo Marina Berlusconi con la sua determinazione e con la rabbia di una donna cui hanno osato toccare il padre, potrebbe rendere pan per focaccia ai nostri malevoli volatili.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:50