
La servitù della carta. Una delle piaghe che affliggono l’Italia. Ogni riforma, più presunta che reale, parte dall’assunto che bisogna “ridurre il cartaceo”, una formula in buropolitichese tuttavia espressiva. Circa vent’anni fa, riformando il processo penale, promisero di fondarlo sull’oralità, come l’Odissea, prima che Omero la mettesse per iscritto. Non è accaduto. Carte su carte. Faldoni su faldoni. Del processo civile è inutile parlare. Cause che finirebbero in dieci minuti, se le parti potessero parlare e il giudice ascoltare, durano decenni perché tutto deve essere scritto, depositato, scambiato, letto.
L’autocertificazione, che avrebbe dovuto procurare risparmio di tempi e di adempimenti, è sostanzialmente fallita. Perfino l’elettronica, se non si traduce in duplicati di cellulosa da sfogliare e palpare, costituisce una procedura aliena. La burocrazia risponde solo alle lettere raccomandate con ricevuta di ritorno ed ai fax talvolta, ma l’e-mail è trattata con diffidenza e sostanzialmente inutilizzata. Perfino gli onorevoli membri del Parlamento, in larga maggioranza, disdegnano la posta elettronica degli elettori. Semplicemente, la ignorano. Proprio loro, che fanno leggi per avvicinare i cittadini alle istituzioni! Da dove viene, nei rapporti pubblici, la diffidenza profonda verso la parola, il colloquio, il dirsi le cose a voce? Da una sudditanza ancestrale.
Dal non esser diventati, gli italiani, cittadini di pieno diritto. Carta canta, villan dorme: è il lascito di secoli di servaggio e d’ingiustizia. È vero. Attaccarsi allo scritto, seppure non metta al riparo, almeno rassicura. Ma la carta non placa la diffidenza, che anzi se ne nutre. Una cortina di sospetto circonda il cittadino nell’approccio con i pubblici poteri. Mai una tangibile “riduzione del cartaceo” potrà essere ottenuta senza la massiccia crescita della fiducia e della lealtà dello Stato e dei suoi servitori verso chi, tutto sommato, li mantiene.
Esiste qualcosa di più assurdo e mortificante del certificato di esistenza in vita? C’è qualcosa di più irritante di un giudice che pretende memorie scritte su fatti acquisiti o evidenti? È ammissibile sentirsi richiedere una denuncia scritta dopo aver esposto a voce un illecito in corso? La maledizione della carta è purtroppo anche una libidine. La voluttà del documento, del foglio, del diploma costituisce il rovescio della medaglia. Non ci fidiamo delle dichiarazioni. Pretendiamo i sigilli.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:45