
Dunque, la preside ha inteso adeguarsi alla realtà. E, poiché la realtà lessicale, a suo giudizio, non sarebbe adeguata alla realtà effettuale, ha trasposto in lingua burocratese la paternità e la maternità: un ordine atavico. Il babbo e la mamma sono diventati “genitore 1” e “genitore 2”; e pure viceversa: un ordine matematico. Non solo il risultato, ma anche l’intenzione della preside sono biasimabili.
Partiamo dall’intento di considerare ed abbracciare i mutamenti intervenuti nella struttura familiare. Perché solo 1 e 2 quando esitono bimbi nati da uteri in affitto, da inseminazione eterologa, da uova e spermatozoi di sconosciuti, da adozioni tradizionali, da clonazioni? Se la preside avesse voluto abbracciare tutte le possibilità esistenti e classificarle entomologicamente, avrebbe dovuto lasciare aperta la numerazione in modo che il firmatario potesse scegliersi la categoria d’appartenenza. Alla fine, però, chi è che firma? Il padre e/o la madre legale. E questi, in barba a tutta la “privacy” del mondo, dovrebbero spiattellare su di un registro scolastico la tipologia genetica del loro “figlio/a”, oppure mentire.
Come in effetti avverrà. Stando alle cronache giornalistiche, la preside avrebbe dichiarato testualmente: “In una società in cui sono sempre più le famiglie allargate o ricomposte non ho visto nulla di strano in questa dicitura: in una realtà così complessa come quella di oggi bisogna cercare di non complicarla ulteriormente”.
Il tenore di tale dichiarazione spalanca la porta al dubbio se la preside ne percepisse le aporie. La legge, intanto, non conosce né la famiglia allargata né la famiglia ricomposta. L’ex patria potestà, oggi potestà genitoriale, la legge o i giudici la assegnano al padre ed alla madre o ad uno dei due. Gli altri conviventi che c’entrano? Se il legittimato all’esercizio della potestà genitoriale delega una terza persona ad esercitarla limitatamente a burocratici rapporti scolastici, questa resta nient’altro che la figura che veniva (viene?) indicata con la locuzione “… o chi ne fa le veci”.
Desta stupore, a tacer d’altro, la convinzione della preside di aver semplificato e comunque non complicato ulteriormente “una realtà così complessa come quella di oggi”. Davvero la preside crede a quello che dice? Se crede questo può credere di tutto! Non solo. Inconsapevolmente si spera, ingenera anche il fondato sospetto di aver aderito corrivamente ad aspettative moderniste. Se fosse vero che l’innovazione è stata chiesta dalle famiglie, la preside avrebbe dovuto quanto meno appurare, con un referendum o con un questionario o simili, se la richiesta fosse appoggiata dalla maggioranza.
E neppure sarebbe bastato. Se poi fosse vero che la trovata servisse a combattere le discriminazioni (quali?), ne risulterebbe discriminata la famiglia legale, non la famiglia fattuale. Pare affatto diseducativo fornire una sanzione di una certa ufficialità, sebbene con un atto amministrativo, alla cancellazione burocratica delle due persone responsabili dei figli, diminuendone ai loro occhi l’autorità, se non l’autorevolezza, che pure conservano per legge.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:50