
Chi dirige questa testata è ben consapevole che a chi scrive non piace parlare delle proprie esperienze personali e, se non vado errato, mai è accaduto. Però stavolta chiedo il permesso di fare uno strappo alla regola perché quello che sta succedendo al sottoscritto è purtroppo “patrimonio comune” per milioni di contribuenti. D’altronde (secondo qualcuno), chi non ha mai ricevuto un avviso di garanzia o un accertamento fiscale vale meno di zero: le “braccia armate” dello Stato colpiscono “chi conta”.
E anche se non conti (come il sottoscritto), comunque sei nel mirino. E fu così che, lo scorso mese (era il 24 ottobre), troviamo nella cassetta della posta una missiva (datata 7 ottobre, diciassette giorni prima dell’effettivo recapito della lettera al destinatario) delle Agenzie delle Entrate con la quale mi veniva chiesto di comunicare – “entro 30 giorni dal ricevimento” della comunicazione (accertabile chissà come...) – una serie di dati relativi alla dichiarazione dei redditi presentata nel 2011 e inerente, quindi, al 2010. Cosa mi chiedono i “simpatici amici” del fisco nazionale? In primo luogo la certificazione delle spese sanitarie sostenute dal dichiarante. Il sottoscritto ha fornito al proprio commercialista originali e fotocopie degli scontrini: meno uno!
Poi mi si chiede la certificazione di uno dei versamenti che eseguo per la mia “figlia a distanza” che, in Egitto, riceve i miei 30 euro mensili; e anche certificazione dell’avvenuto pagamento da me effettuato il 17 settembre del 2010 a favore della compagnia che assicura la mia autovettura: da quel tagliando può essere detratto in dichiarazione l’importo versato al Servizio Sanitario Nazionale, nella fattispecie ben 19,94 euro, roba da mettere in ginocchio (nel caso di dichiarazione fallace) l’intero sistema fiscale nazionale. E mica finisce qui.
L’Agenzia entra anche nei miei (falliti) rapporti matrimoniali e mi chiede di dimostrare il versamento degli assegni di mantenimento versati alla mia ex consorte e questo ci potrebbe pure stare anche se, per soddisfare la richiesta, sei costretto a farti produrre dalla banca l’estratto conto del 2010 dal quale si dovranno poi cancellare tutti (ma proprio tutti) i movimenti di quei dodici mesi tranne quelli che interessano all’infausto fisco nazionale.
Il quale chiede pure, tanto per completare il quadro, “il provvedimento dell’autorità giudiziaria che stabilisce l’importo dell’assegno periodico da corrispondere al coniuge”. Caro direttore, è bene che anche tu (come i nostri pazienti lettori) lo sappia: almeno nel mio caso, quel provvedimento risale al 1995 e l’importo dovuto risulta essere espresso in lire. Non è che corro anche il rischio di incorrere in un nuovo accertamento con il quale mi si chiede pure la conversazione di quell’importo dalla lira all’euro? Sinteticamente e in conclusione.
Lo scrivente, e grandissima parte degli altri contribuenti, non sono disposti a darsi fuoco per disperazione davanti alle sedi del fisco nazionale; è certo però che siffatti accertamenti fanno quasi ridere (per non dire piangere) di fronte a quella vera evasione fiscale nel fronteggiare la quale questi “sceriffi” si dimostrano, ogni giorno che passa, sempre più incapaci: almeno nel recuperare le centinaia di migliaia (se non i milioni) di euro non versati nelle assai malmesse casse dello Stato.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:50