Il culturame di destra, pensatoio da scremare

Esiste la cultura di destra? Sì, ma nessuno lo sospetta perché essa viene sovente relegata in una nicchia entro la quale, oltre che per odio altrui, spesso e volentieri suole auto-collocarsi per provare la struggente e prosaica sensazione di sentirsi minoranza incompresa. La cultura di destra non ama arrivare alle masse ed è questo il suo limite più evidente, perché forse l’interazione con le masse l’avrebbe modernizzata, migliorata e resa meno “virtuoso esercizio stilistico”.

Certo, non ha mai avuto una gran possibilità di emergere la cultura di destra, ma è anche vero che non l’ha forse mai cercata convintamente, tanto che è quasi giunta all’estremo risultato di scomparire. Il culturame liberal-conservatore invece è molto diffuso ed abbraccia in maniera grottesca e poco seria quasi tutto ciò che non di sinistra esista nel panorama italiano. Volendone tracciare un identikit grossolano, si potrebbe dire che il novello autonominato ideologo di destra sia molto “trendy”, soprattutto per non sfigurare al cospetto dei colleghi di sinistra verso i quali nutre un irrefrenabile istinto di inferiorità.

Si sente a tal punto “protagonista e animatore della cultura del suo tempo” da presumere spocchiosamente che, in un ambiente che reputa di idioti come quello di destra, abbia tutta sulle spalle l’atroce responsabilità di abbagliare con il proprio sapere un’area politico-culturale ottusamente in attesa del “verbo”. Il sedicente pensatore droite è disabituato a fare sistema perché, in alcuni casi per fortuna e qualche volta per talento, è stato piazzato dalla politica in posti discretamente prestigiosi per cui entra nell’imbuto cosmico dell’autoesaltazione ed inizia a cianciare ipocritamente di meritocrazia solo un minuto dopo essere stato piazzato. Abile scusa per non tirarsi appresso nessuno e per non sentirsi un nominato.

Stranamente scollato dalla realtà, è anche solito domandarsi come mai quello di sinistra appaia come un movimento culturale sinergico mentre a destra si fatichi a “fare rete”. Peccato che non ricordi, né tantomeno racconti, cosa accada solo un minuto dopo essere stato impalcato in un posto ambito e cioè come gli subentri l’istinto irrefrenabile di spegnere i telefonini, vivendo con fastidio la frequentazione di quei poveracci che fino a poco prima considerava i fratelli, altresì detti “la comunità”. Basta con questi straccioni: bisogna frequentare i salotti buoni, essere uomini di mondo, aprirsi a nuove conoscenze possibilmente con due cognomi, che fanno molto upper class.

E lo vedi nei talk-show che fa distinguo, scompone i problemi, emenda, seziona, sviscera, assume posizioni scomode cui egli solo sa far fronte. E riesci distintamente a capire che ama molto ascoltarsi oltre che stringersi nelle spalle come ad insinuare “non mi dite nulla, devo fare squadra da solo perché la mia parte politica è quella che è, quattro barboni”. Non frequenta tutti i salotti televisivi il sedicente pensatore droite, ma soltanto quelli radical chic vagamente “de sinistra”, un po’ perché fa figo ma anche perché fare parte di quel mondo esclusivo è spesso una sua recondita e inconfessabile aspirazione, sulla quale fatica a non fare coming out.

Il destrorso “gnegne” è un po’ ambidestro, nel senso che è di sinistra ma non lo sa e, mutuando un modo di fare prettamente finiano, nasconde nella grande stima e rispetto verso l’avversario (al cui cospetto solo lui ritiene di essere presentabile) una recondita subalternità verso un’area - quella di sinistra - che generalmente non è solita ricambiare tali sentimenti. La sinistra usa con lui il “metodo Fini”: lo incensa, lo fa accomodare (quando va bene) su uno strapuntino, lo usa per disarticolare le velleità di un ambiente che cerca di organizzarsi e poi lo butta quando non serve.

Ma lui, l’intellettualone d’area, non demorde e, a guisa di figlio problematico, cerca di farsi accettare dagli “eletti” andandogli appresso come un cagnolino che “piscia di qua e di là” per delimitare la casa del padrone. E da bravo apprendista stregone accetta anche di essere antiberlusconiano, perché fa molto fine distinguere la destra volgare da quella moderata, moderna ed europea, definizione della quale ancora non riesco a capire il significato ma che sembra tanto gradita alla sinistra (e quindi pericolosa). Il nostro filosofo impegnato, oltre ad essere autoreferenziale, generalmente non si muove in branco o al massimo non va oltre il circolo esclusivo come unica forma di consorteria culturale ed espressiva.

Questo perché, in ossequio alla logica poco aggregante che lo anima, gioca a fare il gruppettaro d’elite che mette il proprio blasonato nome al servizio di un ristretto pensatoio di destra composto da poche menti eccellenti, uniche intelligenze in grado di guidare le masse di smidollati belanti. All’interno di tali logge di eccellenti, è veramente goffo lo spettacolo di vicendevole celebrazione che certifica la conclamata attitudine a non cercare il consenso, a non proiettarsi verso l’esterno, ma a desiderare la reciproca legittimazione con il pubblico a fare da guardone ammirato e acritico.

Questa la grossolana descrizione di un mondo, quello di destra, legato a vecchie debolezze leggendo le quali nessuno si senta offeso, anche perché l’intenzione non è quella di affermare che tale area (che per inciso è la mia area culturale di riferimento) sia popolata esclusivamente da queste creature mitologiche. A destra così come nel centrodestra c’è tanta gente eccellente e preparata che non aspetta altro se non vedere la fine della provinciale subalternità di qualche montato, che farebbe bene a crescere.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:11