
Umiliati e offesi, solo queste aggettivazioni possono descrivere a pieno lo stato d’animo che pervade la maggior parte dei cittadini italiani. L’idea che le vicende dell’uomo di strada di oggi possano competere con l’omonima opera di Fedor Dostoevskij (“Umiliati e offesi”, appunto) faceva già capolino qualche tempo fa. Ad alimentarla i racconti di gente comune e di tanti amici, e poi l’assistere ai quotidiani maltrattamenti che subisce l’utenza nei pubblici uffici. Ieri in coda ad uno sportello romano c’era un signore che borbottava: “Vengo qui da giorni senza concludere nulla, qui se non ti chiami Cancellieri col c… che risolvi i tuoi problemi”.
Come Dostoevskij usava la struttura del romanzo d’appendice per descrivere la decadenza della nobiltà russa di fine Ottocento, altrettanto oggi sarebbe estremamente plausibile raccogliere i racconti e le vicissitudini di chi si scontra con la spocchiosa e decadente burocrazia italiana. Quella che per concorso o chiamata è diventata la nostra classe dirigente, che s’è blindata sindacalmente e politicamente per scongiurare avvicendamenti e da cui difficilmente riusciremo a liberarci. Guardano con un misto di distacco e diffidenza l’utenza, a cui si porgono con modi propri dell’unico rango aristocratico sopravvissuto (la debellatio ha fortunatamente eliminato i privilegi nobiliari), quello del burocrate pubblico.
Così l’utenza, stremata dall’attesa, è pronta ad inforcare le porte degli uffici abbandonando le code agli sportelli, ma viene stigmatizzata con un severo “lei non è rispettoso degli iter burocratici”. Il cittadino che usa toni più concitati viene prontamente redarguito: “Se non si calma chiamiamo la polizia, la facciamo accompagnare in caserma… la denunciamo”. Intanto aumentano i sudditi in fila: “Che ci vuole fare, sono pubblici funzionari, come la si volta e la si gira hanno comunque ragione loro, sono lo Stato, hanno le leggi dalla loro”. È evidente che l’Italia sia ormai un bel papocchio, dove le leggi vengono sfornate a uso e consumo di magistrati e funzionari dello Stato, mentre gli ospedali per allocare medici, paramedici e dirigenti di enti locali.
Poi c’è la politica che serve solo ai politici. S’è provato a chiedere ad una funzionaria del Comune di Roma se risponderebbe mai all’uomo di strada, la donna di rimando: “Non do confidenza a certa gente… la gente di strada non la facciamo accedere agli uffici”. Il problema è che la gente oggi non deve combattere solo con lo Stato centrale ma anche con Municipi, Comuni, Province, Regioni e, sempre più spesso, “rimpalli di competenza”. E la libertà individuale? È andata a farsi benedire da un pezzo. Pensate che agli antipodi della Penisola vengono ormai sperimentate “norme restrittive” che ben presto potrebbero assurgere a leggi (pardon, decreti) validi su tutto il territorio nazionale.
Se a Venezia si sta per sperimentare il numero contingentato dei viandanti, invece a Bari non è più possibile guardare intensamente persone senza grado di parentela e luoghi non di proprietà dell’osservatore. Il sindaco di Bari, Michele Emiliano, ha emanato una lunga lista di divieti da osservare rigorosamente in piazze e vie della città. Il primo cittadino barese ha anche spacciato l’ordinanza come una forte risposta ai comitati dei cittadini che avevano sollecitato maggiore sicurezza. Il provvedimento vieta anche “di sostare prolungatamente in gruppo superiore a cinque persone…”. L’inosservanza della norma “costituirà una palese violazione punibile con una denuncia o con multe comprese tra i 25 e i 500 euro”. I cartelli che vietano tassativamente gli sguardi di sfida sono già pronti a fare capolino in 5 piazze centrali di Bari: Umberto, Garibaldi, Moro, Balenzano e Battisti. L’ordinanza dà anche mano libera alla polizia per reprimere atteggiamenti indecorosi e camminate guappesche: evidentemente arruoleranno nella polizia locale qualche maestro di ballo, esperto in passi e camminate.
Ma come si fa a giudicare uno sguardo di sfida? Intanto il sindaco di Bari miete proseliti nel Mezzogiorno, e nelle limitrofe Campania e Calabria più d’un sindaco starebbe meditando di copiare l’ordinanza dello “sceriffo di Puglia” (nomignolo che prelude alla sua candidatura in Regione). E se nel Sud è caccia agli “sguardi malavitosi”, invece nel resto d’Italia l’idea veneziana di contingentare l’accesso pedonale nella città lagunare potrebbe ispirare anche qualche componente delle giunte di Roma, Firenze o Genova. Del resto il contingentamento pedonale era già stato praticato a Roma quando moriva Papa Giovanni Paolo II (Karol Wojtyla), e di tanto in tanto si parla di quanto le “zone a traffico limitato” siano insufficienti e che anche la troppa affluenza pedonale andrebbe limitata.
Non dimentichiamo che a Roma, nei giorni delle manifestazioni, per prevenire la presenza d’anarchici e disobbedienti vari, le forze dell’ordine fermano gente in bici e a piedi se vestita in modo arrangiato. Motivo? Secondo i servizi segreti gli anarchici girerebbero in bici, perché prive di targa (quindi non identificabili), ecologiche ed emblema della difficoltà economica. Di contro nessuno ferma la gente elegante nelle lussuose auto. È proprio tempo di umiliati e offesi, di descrizione delle mai tramontate umane miserie.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44