
È proprio vero che col tempo ogni arcano viene disvelato. Quando il “salvatore della Patria”, Mario Monti, si circondava del trio rosa Cancellieri, Severino, Fornero in tanti pensarono, ingenuamente, che il presidente tecnico (senatore a vita) avesse scelto il meglio al femminile tra prefetti e professori di diritto. E chiunque malignava circa fumosi conflitti d’interesse veniva tacciato di dietrologia, disfattismo, egoistica voglia di non fare sacrifici per l’Europa.
La nebbiolina iniziava a dipanarsi nel 2011, quando qualche giornaletto degno di Gian Burrasca ci informava circa le capacità reddituali delle “quote rosa” di Monti, in parte ereditate da Enrico Letta. Naturalmente, oggi torniamo a ripeterci come l’Italia sia rimasta il classico Paese dei due pesi e due misure. Per il ministro Cancellieri si stanno issando barricate istituzionali mentre, in passato (anche recente), per altri politici è bastato solo il dubbio, anzi il pettegolezzo calunnioso, per spalancare l’autostrada di una perentoria richiesta di dimissioni. Così, se un presidente del Consiglio dei Ministri italiano chiede informazioni su una ragazza accompagnata presso la Questura di Milano, il reato prende a tal punto consistenza da comportare una condanna certa e pesante.
Ma se le intercettazioni avessero beccato Silvio Berlusconi al telefono col catanese Ligresti padre cosa sarebbe successo? Chi mai avrebbe difeso una “trattativa” Berlusconi-Ligresti? Il Cavaliere sarebbe stato indifendibile e qualcuno avrebbe anche sostenuto “tutto torna, Ligresti siciliano come lo stalliere Mangano”. Le calunnie si sarebbero sprecate, straripando in quel fiume carsico che è l’informazione italiana, spesso faziosa e drogata, certamente sempre lesta nella sua antitalianità. Oggi invece s’apprende che un ministro della Repubblica ha chiamato il responsabile del Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, istituito dall’art. 30 della Legge 395/1990, nell’ambito del Ministero della Giustizia) per raccomandare un’amica di famiglia detenuta: ecco che in questo caso non si tratta più di reato ma di un comportamento.
Questa è l’Italia, anzi la cara “Italietta”. Per quella telefonata in Questura il senatore Berlusconi ha ottenuto una condanna ad anni sette di reclusione. Il nostro ministro Cancellieri invece dovrà semplicemente riferire in Parlamento. Solo due pesi e due misure o anche altro e oltre? Basti considerare che il Procuratore Capo di Torino, dottor Caselli, si è affrettato a difendere l’operato del ministro. Nessun problema. Anzi, la signora Ligresti doveva essere posta agli arresti domiciliari. La circostanza strana, e degna di nota, è rappresentata dal fatto che la Ligresti viene posta agli arresti domiciliari solo successivamente alla famosa telefonata. Qualsiasi addetto ai lavori, magistrato o avvocato che sia, ben comprende che qualcuno ora dovrebbe indagare sulle richieste dei difensori della Ligresti circa la modifica della “custodia cautelare in carcere”.
Corre d'obbligo una domanda? Signor ministro Cancellieri, ma lei era a conoscenza dello stato d’animo e di salute psichica di tutti i detenuti che si sono suicidati? E se ne era a conoscenza, cosa ha fatto per scongiurarne il gesto estremo? Ha per caso fatto interventi al Dap perché potessero lenire sofferenze e stati di depressione legati alla custodia? Gli amici dei miei amici sono sempre amici: è la solita solfa italiana, vecchia quanto il cucco, trita e ritrita già ai tempi di Cicerone e Catilina. Ma per rimanere alla storia recente e moderna, vale la pena rimarcare come le carceri italiane siano sempre le stesse fin dall’Unità d'Italia, per infrastrutture, problematiche e presidi medico-sanitari: solo che oggi hanno i computer e ieri le risme di carta.
A proposito, il ministro Cancellieri è lo stesso che disse, a margine di un incontro con l’Avvocatura Italiana, “questi avvocati me li devo togliere dai piedi”. Grazie ancora signor ministro per quella frase incoraggiante. Grazie ancora per l’intervento in favore della sua amica Ligresti, ma non si dimentichi che nemmeno una parola è stata versata per i poveri detenuti che periodicamente si suicidano nelle anguste celle delle carceri italiane: per inciso, solo le carceri turche ci superano per fatiscenza.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:49