Psicologi, molti sono da licenziare

L’incauta matrice del sapere psicologico decreta la supremazia di terapie, di giudizi, di perizie, decisioni oniriche lontane dalla realtà, abiurando il compito della ricerca metodologicamente orientata, coartando la volontà dei pazienti, degli esaminandi, pronunciando affrettate valutazioni, imponendo percorsi di recupero sulla base di incerte analisi e improvvide diagnosi.

Imprudenti psicologi firmano le loro perizie più affascinati dalla loro enigmatica arte psicologica, di sconcertanti simbolismi, più attenti al loro personale prestigio che lanciano alla comunità di appartenenza, piuttosto che dalle problematiche comportamentali degli osservati e valutati, che soffrono (vittime e carnefici) la forza interna dei loro impulsi, dei loro automatismi appresi nell’imprinting dell’alba della vita. Le vittime e i carnefici vengono sottoposti al doppio vaglio degli psicologi e dei giudici, spesso con doppio danno nella vita dei condannati al rispetto delle errate valutazioni che possono ingannare le decisioni del giudice. Un doppione dei contenziosi tra le parti, un aggravio ulteriore di sofferenze per le vittime.

La fotocopia dell’arena del processo dove lo scontro non avviene con le armi dei cavilli procedurali, termini, decadenze, prescrizioni, adempienti formali, interpretazioni procedurali, competenze, nullità. Insomma, quella montagna incantata di norme, a volte contraddittorie ed inconciliabili, che possono sconfiggere la ragione di una parte a danno dell’altra, senza entrare nel merito delle questioni poste all’attenzione del giudice, fatte di diritti (negati) e obblighi (disattesi). Sono le armi del sapere psicologico ad entrare nell’agone dello scontro tra le parti, della scienza psicologica che, come tutte le scienze, è sottoposta a revisioni, nuove teorie, protocolli superati, inadeguate certezze, indifendibili concetti.

Un duplicato di battaglie con gli usi e gli abusi delle metodologie psicologiche nell’ambito del processo in corso d’opera. Un processo nel processo che sovente conduce ad esiti nefasti, condizionando l’accertamento di quelle verità cosiddette processuali a loro volta incapaci di svelare la realtà sostanziale, con grave impoverimento del valore della giustizia. I protagonisti dello scontro, che avviene dopo la decisione del giudice di avvalersi di un esperto, il consulente tecnico d’ufficio, registrano un duello tra gli stessi esperti chiamati al compito di dirimere le frequenti guerre tra uomini e donne, tra marito e moglie, tra separati, divorziati, coppie di fatto in dissoluzione.

E come in tutte le professioni i somari abbondano ed i bravi sono una minoranza salvifica per tutta la categoria. Onesti, disonesti, operosi, sciattoni, intelligenti, cretini accrescono le categorie di appartenenza, fieri di aver superato un esame di abilitazione, convinti di essere depositari di verità e certezze. E tutti consapevolmente ed inconsapevolmente possono generare danni enormi, lesioni insanabili.

Forti del loro più o meno approfondite conoscenze gli operatori della scienza psicologica giocano di fioretto sulla testa delle parti in causa, spesso debordando dal difficile compito di esaminare gli aspetti dei comportamenti visibili ed invisibili degli individui, deputati a leggere quelle motivazioni dell’agire che si celano nella vasta area inconscia delle persone. Spesso nelle dispute accademiche, che conseguono tra appartenenti a scuole di pensiero diverse e contrastanti (in psicologia abbondano), si perde la concretezza dell’oggetto di indagine per cui si è chiamati ed il contributo da fornire al giudicante è quasi nullo se non fuorviante.

Mentre dovrebbe illustrare gli aspetti del contenzioso in atto fuori dalle conoscenze del giudicante e aiutarlo a decidere, l’esperto favorisce l’errore giudiziario, in quanto più interessato a far valere la sua tesi, l’applicazione di quelle teorie che ha studiato, piuttosto che leggere le realtà, assolvendo il compito che il magistrato ha delegato. E questo è il punto in caso di una consulenza di tipo psicologico ed il professionista dovrebbe essere così serio, così scrupoloso, così onesto intellettualmente, così libero di preconcetti ed opinioni personali in modo da poter fornire un contributo di alto valore scientifico, di obiettività empirica al contenzioso tra le parti.

Le statistiche segnalano che un numero significativo di perizie, di relazioni peritali sono completamente sballate e hanno poco a che vedere con le questioni poste dal giudice e che l’esperto dovrebbe disvelare. Il fatto grave è che nelle cause riguardanti famiglia e minori, questi ultimi sono le vittime più colpite dagli errori di valutazione degli psicologi e dei conseguenti errori giudiziari. “Scusate, ci siamo sbagliati” non è sufficiente; l’errore comporta la sanzione e deve essere severa.

 Il sottile filo che guida il comportamento, la delicatezza dell’anima, la ingovernabilità delle emozioni sono lasciati, in alcuni casi, al dissennato agire del psicologo di turno, incapace di essere al di sopra delle parti e avere un grado di discernimento superiore alla media dei normali, più interessato a perseguire obiettivi di potere personale, di successo professionale, vinto dalla incapacità di proiettare i propri problemi psicologici irrisolti che nulla hanno a che vedere con il caso in esame, con quella causa per cui sono stati chiamati a fornire il proprio contributo di conoscenze tecniche, di proposte di soluzioni delle questioni necessarie per la decisione finale del giudice.

Quando sono onesti (e non sempre lo sono), vorrebbero decidere, dopo un paio di sedute di un’oretta sull’amore di una mamma, sull’amore per una mamma. Se il minore deve stare con la mamma o deve essere allontanato, da quell’affetto così genetico, così forte che dura tutta la vita, forse oltre la morte, indipendentemente dalla madre buona o cattiva. La teoria psicoanalitica del maestro Freud sull’adulto si basa tutta sul rapporto del figlio con la madre, tutto nasce all’inizio di questo amore e tutto evolve su questo amore. Purificare le coscienze, modificare le condotte, irrompere nel mondo dei sentimenti con il bisturi dei giudizi perentori, con le radiografie dei test reattivi, con i precetti del buon vivere, con l’applicazione di traballanti teorie psicologiche tra loro discordi e contraddittorie è una presunzione inaccettabile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:47