Certa magistratura non fa bene al Paese

Quando si ritiene che la giustizia e la politica siano la stessa cosa e quando un componente di un’associazione che raggruppa una minoranza di magistrati, che dicono di indossare orgogliosamente la “toga rossa”, si lascia andare a dichiarazioni che ledono i diritti dei cittadini, con affermazioni sempre troppo spesso discutibili, allora possiamo dire che vengono meno i valori della giurisdizione. In un momento così delicato per il Paese bisogna riaffermare la tutela dei valori costituzionali della giurisdizione, respingendo con forza ogni logica individualistica.

Politica e giustizia certamente non sono la stessa cosa perché invece delle tentazioni comiziali e delle requisitorie mediatiche, come quelle sentite durante la chiusura del Congresso celebrato dall’Associazione nazionale magistrati (Anm), certa magistratura dovrebbe solo richiamarsi al ruolo che le compete con il corretto assolvimento delle funzioni che la Costituzione gli ha assegnato, mantenere un doveroso riserbo, condurre le indagini con le garanzie necessarie, interpretare con correttezza e con intelligenza le leggi, e soprattutto non sottoscrivere programmi politici e non partecipare a manifestazioni propagandistiche o esercitarsi nelle esternazioni di opinioni politiche che mettono in dubbio indipendenza e imparzialità.

Ancora più devastante, è il collateralismo di certa magistratura con partiti e uomini politici che spesso sui problemi della giustizia assumono atteggiamenti parziali, non conformi ai valori di una società liberale. Sono convinto che la civiltà giuridica si sostanzia in un complesso articolato di valori, che possono in alcuni momenti apparire in conflitto tra di loro; la giurisdizione è il luogo dove i magistrati imparziali dànno concreta attuazione al contemperamento e all’integrazione dei valori e interessi diversi, accertando i fatti in conformità alle norme processuali e valutandoli secondo legge e giurisprudenza.

L’esigenza di apparire – oltre che essere – terzo e imparziale, impone al magistrato di esprimere le sue convinzioni in forme equilibrate e pacate, nel rispetto di coloro i quali entrano nella dialettica e anche in corretta polemica. Invece le pruderie comiziali ascoltate al congresso dell’Anm hanno innescato ancora un processo di “estremizzazione” politica del magistrato, hanno esposto gli imputati alla gogna mediatica tentando di far infliggere loro dall’opinione pubblica una condanna morale, che neppure un possibile trasferimento del dibattito potrebbe cancellare. La strada dei polveroni accusatori rischia di portare tutti sul pericoloso sentiero della delegittimazione della politica, degli organismi di garanzia con insinuazioni e sospetti che da una platea di dipendenti dello Stato, quali sono i magistrati, si tenta di diffondere nei confronti del Parlamento sovrano, le cui leggi i magistrati sono tenuti a rispettare e osservare.

Quanto successo a Milano, dove non è mai stato smesso il pio esercizio del “rito ambrosiano”, contribuisce ad inasprire un clima di pericolosa sfiducia nei confronti della politica ed è bene sapere, per dirla come Calamandrei: “Quando per la porta della magistratura entra la politica, la giustizia esce dalla finestra”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:48