
È sempre più ampio, all’interno del Popolo della Libertà, il solco tra l’ala governativa e i lealisti filo-Cavaliere. L’ufficio di presidenza del partito, convocato a sorpresa da Silvio Berlusconi per accelerare sul ritorno a Forza Italia e per il conseguente azzeramento delle attuali cariche interne, è iniziato ieri nel tardo pomeriggio senza la presenza di Angelino Alfano e dei componenti che fanno capo al blocco centrista. A nulla sono valsi i tentativi di mediazione, andati avanti fino a pochi minuti prima delle 17, quando il vertice, in bilico fino all’ultimo, ha preso regolarmente avvio.
Il Cavaliere nel primo pomeriggio aveva incontrato separatamente i cinque ministri del Pdl, tutti contrari ad una forzatura che potrebbe avere ripercussioni anche sulla tenuta del governo, cercando di farli tornare nei ranghi. Ma il faccia a faccia, durato più di due ore, si è concluso con un nulla di fatto. “Il mio contributo all’unità del nostro movimento politico, che mai ostacolerò per ragioni attinenti i miei ruoli personali - ha commentato lo stesso Alfano - è di non partecipare, come faranno altri, all’ufficio di presidenza che deve proporre decisioni che il Consiglio nazionale dovrà assumere.
Il tempo che ci separa dal Consiglio nazionale consentirà a Berlusconi di lavorare per ottenere l’unità”. E’ dunque a quella occasione che è rinviata la resa dei conti della galassia pidiellina. Subito dopo le dichiarazioni di Alfano sono state riportate parole attribuite allo stesso Berlusconi che avrebbe esordito al vertice sostenendo che la strada verso Forza Italia è ormai tracciata e che indietro non si torna. Il Cavaliere avrebbe però precisato di non aver intenzione di non volere creare difficoltà al governo Letta.
Tutto rimandato al consiglio nazionale, insomma, quando il redde rationem tra le due diverse anime vedrà coinvolti circa 800 delegati, molti di più dei 24 membri dell’ufficio di presidenza che affianca Berlusconi. Le due componenti avrebbero già iniziato una raccolta di firme sul territorio per contare le proprie truppe. Sulla carta i lealisti sono avvantaggiati e indiscrezioni raccolte dalle agenzie parlano di un Raffaele Fitto, nuovo leader del fronte più intransigente, intenzionato a collezionare i consensi di almeno i tre quarti della platea. La data dell’assise non è ancora stata definita ma da più parti si parla dell’8 dicembre, giorno in cui si svolgeranno anche le primarie del Pd.
Quello dell’Immacolata diventerebbe, insomma, il giorno del redde rationem per i due principali partiti della maggioranza, con tutto quello che ne potrebbe conseguire per le sorti del governo. Molti esponenti di primo piano del Pdl nel corso della giornata avevano preso posizione sull’accelerazione impressa da Berlusconi. E tra i filogovernativi si era tornato a parlare di possibile scissione. Lo ha fatto in maniera esplicita Carlo Giovanardi: “Io in Forza Italia non ci voglio stare”, ha detto l’ex ministro precisando però che a compiere la rottura “non è chi resta nel Pdl, il partito dove tutti abbiamo scelto di stare”, ma chi se ne va, ovvero chi si schiererà a favore del ritorno a FI.
L’ex governatore della Lombardia, Roberto Formigoni, è stato invece tra i primi a far sapere che non avrebbe preso parte al vertice a Palazzo Grazioli “perché non lo ritengo rappresentativo della storia anche attuale del partito. Sono contrario all’esclusione degli attuali ministri in carica e dei capigruppo della scorsa legislatura perché così si restringe il dibattito in un momento così delicato”. Il nodo della composizione del “parlamentino” del Pdl non è da poco: al suo interno prevale l’ala lealista e solo Alfano tra i ministri ne fa parte.
Maurizio Sacconi ha diramato una nota per chiedere formalmente il rinvio dell’ufficio di presidenza che a suo parere “non riflette nella sua composizione né la storia né l’attualità del nostro movimento politico, tanto nella dimensione politica quanto in quella istituzionale”. Anche esponenti da sempre vicini a Berlusconi ma al di fuori dei due gruppi in contrasto, come Maurizio Gasparri (“Fermiamo questo impegno autodistruttivo”) e Renato Schifani (“Lavorerò perché si giunga a scelte ampiamente condivise”), hanno deciso di non partecipare alla riunione auspicando un allentamento delle tensioni.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44