
“Non ce la facciamo più a stringere la cinghia, i pagamenti sono sempre più un’incognita: a questo punto è preferibile che lo Stato italiano venga dichiarato fallito. Per noi piccoli è meglio si riparta da zero”, la pensano così ben sette commercianti su dieci, e per gli artigiani si sale a quasi nove su dieci. Le associazioni di categoria assicurano che, in un eventuale fallimento dello Stato, i beni avocati alla procedura sarebbero solo quelli pubblici, e con loro aziende statali e grandi gruppi industriali.
Per il piccolo la vita continuerebbe come prima, anzi interverrebbe un congelamento su rate di prestiti e mutui, e le tasse verrebbero mitigate per almeno un quinquennio al fine di garantire una ripresa sul territorio. “Meglio che fallisca lo Stato, solo così ci salviamo noi piccini”, ci spiega un falegname con due dipendenti a carico. A dare un valore statistico a questa “voglia di fallimento” ha provveduto l’Istat, che ha dimostrato come ad ottobre sia precipitato l’indice di fiducia dei consumatori verso il sistema Italia: è sceso a 97,3 dopo aver raggiunto quota 100,8. Sul peggioramento (il primo dopo quattro mesi in rialzo) secondo l’Istat pesa “il forte ribasso del clima economico”: in diminuzione risultano tutte le componenti, compresa quella relativa alla famiglia.
Oggi nessuna banca darebbe fiducia ad una famiglia con due redditi, eppure fino a 10 anni fa i mutui venivano per il 50% concessi a famiglie monoreddito. Ottobre ha azzerato il misero guadagno dei mesi precedenti, riportando l’Italia ad una percezione di ricchezza diffusa pari a quella del biennio 1946-’48. Qualcuno ribatte che a settembre 2012 l’indice era tornato sopra la soglia 100: ma gli addetti ai lavori accusano che l’indice settembrino è stato semplicemente una bolla, un’alchimia politica per costruire l’artificiosa fiducia economica verso il governo Letta.
A fine ottobre è tutto chiarito, e non ci sono più scusanti: la fiducia perde punti su tutti i fronti, a cominciare dal clima economico (a 93,2 da 99,3), con un peggioramento anche delle aspettative sulla disoccupazione. Non va meglio per la componente cosiddetta “corrente”, ovvero riferita alla situazione attuale (oggi scesa a 96,1 dai precedenti 102,6): se scendesse sotto i 90 entro dicembre staccare la spina sarebbe inevitabile e doveroso, paradossalmente solo un fallimento dello Stato italiano salverebbe dalla fame le famiglie ed il pulviscolo lavorativo (artigiani e piccoli commerci). L’Istat parla di “deciso calo” pure per il clima personale (a 98,1 da 102,4): le statistiche includono giudizi e attese sullo “stato economico della famiglia media”.
Un ribasso più contenuto invece si registra per la componente futura (a 98,6 da 100,3), che però sappiamo influenzabile dagli umori politico-governativi. Il dato vero e cocente è il livello territoriale: banco di prova per la fiducia, che risulta in diminuzione in tutte le diverse aree del Paese. Per la Coldiretti “pesa l’aumento dell’Iva”. È vero che l’aumento dell’Iva pesa sul calo di fiducia dei consumatori, lo aveva già registrato l’Istat agli inizi di ottobre. “Sono dunque confermate - sottolinea la Coldiretti - le preoccupazioni sul rischio di alimentare, con il rincaro dell’aliquota, una spirale recessiva.
In queste condizioni per oltre una famiglia italiana su quattro (22%), secondo l’indagine Coldiretti/Ixé, sarà un autunno difficile di sacrifici economici. Per quanto riguarda la situazione generale, il 35% è pessimista per il futuro e pensa che la situazione peggiorerà; e se il 51% ritiene che non ci saranno cambiamenti, solo il 14% è convinto che ci sarà un miglioramento”. È evidente che un fallimento dello Stato italiano eviterebbe ulteriori sacrifici ad agricoltura, commercio e artigianato: i sindacati non possono dirlo ufficialmente, ma i singoli iscritti oggi lo desiderano.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:45