La macchina da guerra secondo Occhetto

Nella storia umana i protagonisti dei grandi eventi, raggiunta l’età del riposo, avvertono il bisogno e l’urgenza di consegnare, attraverso le loro memorie e confessioni personali, la propria testimonianza ai posteri con la scrittura dei libri. Questo è accaduto nel mondo antico con Senofonte, Giulio Cesare Cicerone e altri grandi personaggi. Nella sede della libreria Feltrinelli, situata all’interno della galleria Alberto Sordi a Roma, martedì scorso è avvenuta la presentazione del libro di Achille Occhetto, intitolato “La gioiosa macchina da guerra” (Editori Riuniti).

 Achille Occhetto è stato l’ultimo segretario del Pci e, dopo la celebre “svolta della bolognina”, il fondatore del Pds. Il libro è stato presentata da Tommaso Labate, giornalista del Corriere della Sera, da Fabio Mussi e da Claudio Petruccioli, entrambi dirigenti e figure storiche della sinistra italiana. Nella sua introduzione Tommaso Labate ha osservato che il libro di Occhetto è molto importante poiché offre al lettore una ricostruzione di parte, utile per capire sia le ragioni della sconfitta, subita dai progressisti nelle elezioni del lontano 1994, sia per analizzare le implicazioni che la svolta, concepita e guidata da Occhetto e con la quale venne accantonata e superata l’identità comunista, ha avuto nella storia italiana e nell’ambito della sinistra.

Petruccioli nel suo intervento ha sostenuto che non bisogna dare credito a chi pensa che la svolta sia nata da un’estemporanea e improvvisa iniziativa di Occhetto. In primo luogo è fondamentale riconoscere, a distanza di tanti anni, che con la svolta venne creata una condizione nuova nella sinistra italiana, poiché essa rispondeva ad un bisogno di innovazione culturale perseguito con grande coerenza e rigore da Achille Occhetto. Per suffragare questa tesi interpretativa, Petruccioli ha richiamato le riflessioni di Vittorio Foa, contenute nel libro che questa grande figura della politica italiana scrisse e a cui diede il titolo “Il cavallo e la torre”.

Proprio in questo libro, Vittorio Foa giudicò in termini positivi la svolta di Occhetto, poiché veniva messo in discussione con la discontinuità, che l’operazione di revisione avviata da Occhetto comportava, il rapporto tra il fine e il mezzo, tra gli ideali perseguiti e il partito apparato, laddove sovente storicamente il fine è stato assorbito dal mezzo. Infatti tutti i processi politici dovevano passare attraverso il partito, sacralizzato come una chiesa laica che incarnava la verità indiscutibile dell’ideologia, secondo la concezione leninista.

È vero che con la nascita dell’Ulivo, che mirava a fondere il meglio della tradizione democristiana e di quella comunista, il centrosinistra ha vinto le elezioni nel 1996. Tuttavia, secondo il giudizio di Petruccioli, si è trattato di un successo politico che ha determinato il trionfo della peggiore eredità comunista e democristiana. Fabio Mussi ha ricordato, con l’acribia e la meticolosità dell’intellettuale abituato a ragionare con lucidità di politica, che la svolta è maturata lungo gli anni della segreteria di Occhetto, quando era evidente il fallimento del socialismo reale, l’impossibilità di riformare i sistemi economici dei Paesi dell’Europa dell’Est, l’imminente e ineluttabile capitolazione della Unione Sovietica.

Infatti, quando vi fu la repressine violenta della rivolta di Piazza Tienanmen in Cina, nel lontano 1988, Occhetto, alla presenza dei maggiori dirigenti del suo partito, sotto l’ambasciata cinese di Roma, affermò che il partito non poteva più avere il nome comunista, capace di evocare crimini di inaudita crudeltà. Con la caduta del muro, la necessità di creare un nuovo partito della sinistra, nasceva, secondo Mussi, dal bisogno insopprimibile di elaborare e delineare un’alternativa al modello liberale e liberista in Italia ed in Europa.

Infatti Occhetto e i suoi collaboratori erano mossi dalla volontà di innovare e rinnovare la tradizione del movimento operaio, per uscire dal comunismo mantenendo in vita l’idea della sinistra, senza la quale era impossibile vagheggiare un modello di società in grado di conciliare il valore della libertà con quello dell’eguaglianza. Per Mussi, il disastro in cui è precipitato il sistema politico italiano, dopo che con tangentopoli sono stati distrutti i partiti democratici, è il segno evidente di una crisi che riguarda la natura della democrazia italiana e anche di quella europea. Sono anni che il dibattito politico è dominato dalle dispute intorno all’emergenza e alla stabilità.

Ora, parlare di emergenza, a proposito di una crisi economica che si perpetua da lunghi anni, è improprio, secondo Mussi. In realtà la prolungata recessione economica indica che il capitalismo finanziario, oltre ad avere accresciuto le diseguaglianze, ha prodotto una crisi grave senza che vi siano vie d’uscita, sicché oggi questo sistema economico dovrebbe essere radicalmente riformato. Il capitalismo finanziario, cosi com’è, per Mussi è divenuto incompatibile con la democrazia e l’idea dello sviluppo della civiltà umana.

Non è il costo del lavoro il problema, come alcuni coraggiosi economisti liberali hanno ammesso, ma il costo dei capitali, concentrati nella mani di pochissime persone. Achille Occhetto ha spiegato le ragioni che lo hanno indotto a scrivere questo libro. Nel libro, nella prima parte, l’autore traccia un profilo umano della sua persona, ricordando l’adolescenza vissuta a Torino, città di cultura in cui ebbe la possibilità di frequentare i grandi intellettuali, da Cesare Pavese a Norberto Bobbio. Belle sono le pagine nelle quali l’autore parla del rapporto con la natura che gli infonde serenità, del suo ritiro in Toscana a Capalbio, della sua compagna Aureliana.

In primo luogo Occhetto ha voluto con il libro ricordare che la sconfitta del 1994, con cui ebbe inizio il ventennio della Seconda Repubblica, fu dovuta al fatto che non vi era, in quel momento storico, la possibilità di raggiungere una intesa con i centristi di Segni e Martinazzoli. In più, ha rilevato Occhetto, visto che vi era stata la vittoria dei sindaci di sinistra nel 1993 durante tangentopoli, tutti erano convinti che i progressisti da soli potessero prevalere nella competizione elettorale. Occhetto ha rivendicato il merito di avere, con la svolta e la decisione di oltrepassare l’orizzonte del comunismo, inserito una grande forza politica occidentale nella sinistra europea, riconducendola nell’alveo del socialismo Europeo.

A questo proposito ha menzionato e rievocato gli incontri che ebbe con i leader del socialismo europeo, come Willy Brandt, Neil Kinnock, Pierre Mauroy, con i quali intensi e proficui furono i rapporti politici e intellettuali per rendere possibile il rinnovamento della sinistra europea, dopo la capitolazione del comunismo. Polemicamente, e obbedendo al tic dell’antisocialismo, dovuto al senso di superiorità morale e antropologico coltivato dai dirigenti della sinistra comunista italiana, Occhetto ha affermato che Craxi all’epoca non godeva di grande considerazione nell’ambito della sinistra europea e nel partito del socialismo europeo.

Inoltre Occhetto ha spiegato i motivi che lo spinsero da segretario a scegliere il modello maggioritario e a sostenere il referendum elettorale promosso da Mario Segni, per dare vita ad un sistema maggioritario in Italia, in modo da affermare il bipolarismo nel nostro Paese. Per Occhetto la sinistra nel nostro Paese, in questo momento, mentre è giunta e volge al crepuscolo la leadership di Berlusconi, non deve farsi dettare l’agenda dal centrodestra. Storicamente i progressisti per Occhetto devono risolvere il problema rappresentato dal conflitto tra libertà e sinistra. Norberto Bobbio, dopo la caduta del muro e la svolta della bolognina, in un suo memorabile articolo scrisse su La Stampa che i motivi e le ragioni ideali e culturali per i quali il comunismo era sorto storicamente erano ancora presenti nel panorama della modernità.

Infatti Occhetto nel suo libro delinea una distinzione tra orizzonte storico e orizzonte cosmico. La sinistra italiana ha una sua autonomia, dovuta al pensiero di Gramsci, di Gobetti, alla esperienza politica legata alla vicenda del Partito d’Azione. È fondamentale favorire la contaminazione tra le diverse tradizioni della sinistra italiana per restituire vigore al riformismo italiano, oggi evanescente, anche se da tutti indicato come l’unico metodo valido per governare la modernizzazione. Durante questo dibattito, ho notato che poco e nulla è stato detto su ciò che ha rappresentato la svolta di Bettino Craxi, dopo il congresso socialista del Midas.

Mentre Craxi avviò la revisione ideologica del suo partito nel lontano 1976, restituendo autonomia ai socialisti ed elaborando una proposta politica autenticamente riformista, per governare i processi legati al fenomeno della modernizzazione, i dirigenti del vecchio Pci hanno atteso la caduta del muro di Berlino e la fine dell’Urss per modificare l’identità della loro forza politica e la sua collocazione internazionale. Craxi, malgrado la vicenda terribile di tangentopoli in cui si è trovato invischiato per ragioni politiche, è stato un grande innovatore. Su questo Occhetto non ha detto nulla di significativo. I dirigenti post-comunisti spesso danno l’impressione di essere completamente smemorati.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:10