
Mai si era arrivati così vicini all’obiettivo di diminuire il carico fiscale. Tanto vicini da riuscire, pur nella ritirata della marea delle proteste e delle paure, a tagliarne un’inerzia, un capello, calcolabile in otto, forse dodici euro in più nelle busta paga dei dipendenti. Che poi se li potranno tenere, se sono stati prolifici, o se vivono in mezzo a zie zitelle e nonne invalide.
In caso contrario, il calo o l’eliminazione di una serie di detrazioni fiscali, provvederà a mangiarsi in parte o tutto la decina di euro di cui sopra. Eventuali aumenti della molteplice fiscalità locale, in ultima analisi, finirà poi per determinare nel futuro immancabile calcolo della Cgia di Mestre e della Uil, l’oggettivo aumento fiscale. Quest’ultimo, nella media, aumenterà sicuramente anche per i tagli, sempre di un’inezia, previsti per alcune retribuzioni dei pensionati e dei manager pubblici più ricchi. Il risultato è, dal punto di vista della concretezza, nullo.
Dal punto di vista politico e partitico è invece roboante. Il grande pachiderma buropolitico ha veramente cercato di capire come abbassare le tasse; si è costretto a prendere sul serio il problema dei diritti acquisiti di pensioni e redditi d’oro e anche quello del finanziamento pubblico dei partiti. Resta salda, ovviamente, la speranza che un miglioramento del quadro generale permetta di abbandonare questi temi antipatici. L’ultimo trimestre del 2013, infatti, secondo il World Economic Outlook del Fondo monetario, dovrebbe essere positivo, anche se solo dello 0,1%. Anche se il 2013 toccherà il meno 1%; nel 2014 dovrebbe essere colto un mezzo punto positivo.
De Benedetti, con indubbio gusto, essendone uno dei maggiori responsabili, ha infierito sul Paese, chiamandolo zavorra dell’eurozona. L’eurozona, da parte sua, è sicuramente zavorra del mondo, con lo 0,6% negativo complessivo del 2012-3 e solo l’1% previsto per il 2014. Risultati che freneranno la crescita mondiale al 3,5%, mentre gli Usa, debiti o no, stanno tornando al 3% di crescita. L’establishment, obtorto collo, si è costretto ad osservare dunque lo stato di sfacelo in cui ha ridotto il Paese.
Davanti alla piazza e alla stampa recita la storiella dei vent’anni berlusconiani che hanno portato al disastro del 2011. Quando si tratta di discutere seriamente nelle segrete stanze, l’analisi è un’altra: gli ultimi governi Berlusconi, Monti e Letta, in perfetta continuità, hanno usato cure da cavallo, che oggi fruttano il miglior saldo primario al Bel Paese. È a questo, più che ai complimenti di bambagia, raccolti dovunque da BerLetta, che si devono tassi di interesse al minimo storico sul debito pubblico. L’invecchiamento della popolazione, l’ideologia dei diritti, la sclerosi delle posizioni di potere pubbliche e private impongono l’inevitabile aumento della spesa pubblica.
La grande produzione, che la dovrebbe bilanciare, cala strutturalmente, per il progressivo smantellamento delle grandi imprese pubbliche e private, che sul medio periodo uccide anche il sistema delle piccole imprese, nato nell’epoca delle esternalizzazioni, dei licenziamenti e del taglio delle assunzioni. Molto clamore si è alzato attorno alla spesa sanitaria, dove, si calcola, l’adozione di prezzi di acquisto uguali sul tutto il territorio nazionale potrebbe far rientrare tra i 20 e gli 80 miliardi di spesa.
Poiché il relativo ministero è affidato al centrodestra, ci si sarebbe dovuti attendere un grande impegno sul tema dei costi standard. Questi ultimi però sono lo slogan non del centrodestra, ma di parte del ceto politico lombardo. Amministratori e politici del resto del Paese sanno benissimo che sistemi omogenei abbatterebbero ulteriormente i fatturati locali. Nel mondo digitale, un sistema di e-procurement facilmente conduce ad un unico bando per fornire, diciamo, le siringhe ad un unico prezzo a qualunque richiedente di sistema. Bando oggi italiano, domani europeo.
In questo modo i grandi centri di spesa non servirebbero più le economie locali; anzi con la loro efficienza farebbero abbassare il Pil. Negli Usa, non in Italia, si parla di “complesso industriale della disabilità”. Il riferimento è agli studi legali specializzati nel portare in tribunale, con affermazioni dubbie, richieste di indennizzo per disabilità, più o meno accertate. Agli avvocati seguono le pezze di appoggio dei medici che sostengono candidati con affermazioni dubbie e infine i giudici federali amministrativi che si fanno notare per le ampie concessioni sistematiche di dubbie invalidità. Un classico dell’obamismo. Da noi questo complesso è una realtà da tempo nelle varianti legale e illegale.
Ora stiamo entrando nell’epoca dei grandi indennizzi dovuti alle cattive politiche. Sul banco degli imputati, in teoria ci sono l’amianto, l’acciaio, i rifiuti, il carcere con i loro industriali e i loro amministratori; nella realtà il contribuente. Lo Stato non sostiene più gli investimenti? Non assume più? Allora paghi indennizzi per i danni passati, presenti, futuri. Per Stato si legga l’uomo qualunque. Impressiona il lungo elenco di industriali in qualche modo riconducibili o non lontani dal centrodestra, oggi in carcere o sotto giudizio.
Anche nel giorno dell’assoluzione di Fastweb e Sparkle per l’accusa di truffa telefonica si finisce per ripetere le accuse come se il processo non avesse dimostrato che erano campate in aria. Nel quadro degli impallinati, il Berlusconi condannato non è un caso isolato; anzi. L’establishment deve mantenere l’Italia al suo posto, ubbidiente al quadro europeo-atlantico. Deve mantenere il sistema, uccidendo la produzione sia per diktat straniero che per lotta politica. Malgrado i complimenti e i sorrisi del mondo, non le resta che l’incubo di cavare ancora più sangue dalle rape nella coscienza che ce n’è sempre meno. Vorrebbe tornare agli “Anni felici”, quando l’intellighenzia inconcludente del centrosinistra poteva usare le capacità di competenza del centrodestra.
Quando si poteva imbrogliare l’elettorato di destra, costringendolo, nel quadro della guerra fredda, in politiche di sinistra. Nell’attesa di tornare al proporzionale, non si è fatto in tempo a far fuori i Cavalieri che già se ne sente il bisogno. Come in un rito espiatorio e propiziatorio, il sistema si produce in un simbolico mea culpa, nella cacciata ignominiosa di Monti, spedito sulle orme dei Fini. Tutte le cinguettanti giornaliste maitre a parler, che tanto incensarono il bocconiano, non hanno nemmeno una vocale in suo ricordo o difesa. Ed è questo silenzio, più che i complimenti e i sorrisi, che segue come un’ombra e agghiaccia l’aria attorno al Berletta, discepolo di Monti.
Il congresso Pd e le sue primarie decideranno quale alternativa seguire: o il ritorno all’opposizione o l’adozione della piattaforma berlusconiana, a Cavaliere disarcionato. Un’impostazione che parte dalla convinzione che il Pdl sia pulviscolo, senza il suo fondatore. Idea, purtroppo, via via confermata, giorno dopo giorno dalle cronache delle larghe e felici intese.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:46