
A Firenze ha aperto già qualche anno fa un atelier creativo specializzato nel riciclaggio. I “ricicloni” sono quelli che reinventano la seconda vita di oggetti usurati dal tempo, altrimenti da rottamare. Guardando al nuovo Matteo Renzi, si direbbe che in questa seconda vita il sindaco di Firenze ha frequentato quell’atelier fiorentino e rottamato la sua stessa identità, riciclando se stesso in una riconversione ad U.
Tutti lo vedono: rispetto alle scorse primarie, questo Matteo Renzi è un altro. Ed è cambiata la sua squadra, il suo linguaggio, l’universo simbolico del personaggio. Era un guastatore sgradito, è diventato il favorito un po’ di tutti. Nello stesso partito in cui veniva vissuto come un corpo estraneo, oggi è il leader di riferimento più ambito. Non a caso intorno a lui si stringono fedelissimi lettiani come Francesco Sanna ed ex dalemiani alla Nicola Latorre.
I parlamentari di Areadem – quelli vicini al ministro Dario Franceschini – che si sono schierati con Renzi nell’arco di una notte, come un esercito di terracotta, sarebbero un’ottantina. “Le critiche dei prevenuti e le lusinghe dei ruffiani non avranno il potere di cambiarmi”, assicura Renzi.
E chissà se è per questo motivo che alcuni endorsement sono stati respinti al mittente (è il caso, raccontano, dell’ex portavoce di Pierluigi Bersani, Alessandra Moretti, schiacciata tra l’incudine e il martello). Cambia il perimetro delle alleanze interne, e non potrebbe essere altrimenti. Perché se Renzi vuole prendersi il Pd non può che usare i codici appropriati, e non può che farlo con gli attivisti, i quadri, i funzionari che il partito gli offre. E così la rottamazione rivela il suo bluff.
Il dirigente che doveva mandare in pensione l’apparato ha finito per accogliere con entusiasmo il sostegno di Piero Fassino e Walter Veltroni, la vecchia guardia che all’improvviso è passata dalla condizione di “disastro” a quella di risorsa riabilitata. Ma cambia anche l’immagine. Il personaggio è molto diverso da quello che conquistò l’attenzione del Paese nella lunga sfida con Bersani. In vista del congresso dell’8 dicembre, a Bari la campagna renziana per le primarie si è aperta con un candidato alla segreteria piuttosto grigio, in completo standard, giacca e cravatta d’ordinanza.
Le differenze rispetto alla passata esperienza sono evidenti. Lo slogan dal vago sapore leaderistico “Adesso!”, è stato sostituito con un più comunitario “L’Italia cambia verso”. E l’agenzia di comunicazione che si occupa di Renzi, la Proforma, è quella tradizionalmente rispolverata dalla sinistra per tutte le occasioni. In passato si sono occupati delle primarie di Bertinotti, poi di quelle di Vendola. A Milano hanno seguito, con il risultato che conosciamo, il tentativo di scalata alle primarie di Tito Boeri.
Poi hanno fatto la comunicazione di Bersani 2009. Insomma: appalti fissi, altro che creativi rampanti. Però questa volta hanno avuto un’ottima idea per rappresentare la campagna di Matteo Renzi. Se è vero quel che dice l’agenzia di comunicazione strategica Politiche Pubbliche, che rivendica di aver partorito il logo della freccia bianca per il partito di Oscar Giannino, Fare, è altresì vero che Proforma l’ha saputa reinventare per il suo cliente. Che è quello che ricicla la vecchia classe dirigente del Pd, e quindi non poteva che avere la freccia bianca che gira su se stessa, simbolo e logotipo universale del riciclo.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:46