Gay: uniti ma non sposi

Esistono ragioni giuridiche che impediscono, dovrebbero impedire, la sanzione matrimoniale civile delle unioni omosessuali (la sanzione religiosa dipende dalle religioni). Un problema serio, più della diatriba se i legami gay siano un progresso o un capriccio. La soluzione deve essere cercata nel giusto diritto, come rispecchiato dalla Costituzione e dalla legge. L’uguaglianza è un caposaldo dell’ordinamento.

 I cittadini, per Costituzione, “sono uguali davanti alla legge senza distinzione di sesso”, una precisazione che fu voluta dalla senatrice Merlin contro la discriminazione delle donne. L’uguaglianza legale impone di trattare in modo eguale le situazioni eguali e in modo differente le situazioni differenti. Sono gli stessi omosessuali a rivendicare “orgogliosamente” di esser diversi dai maschi e dalle femmine. Dunque non possono essere equiparati “ope legis” a costoro che contraggono un vincolo coniugale definito dalla Costituzione e dal codice con la parola matrimonio.

Se la legge estendesse agli omosessuali la disciplina matrimoniale equiparerebbe normativamente situazioni per le quali i diretti interessati escludono l’equivalenza, che del resto è evidente e incontestabile. Cioè userebbe lo stesso trattamento per situazioni dissimili. Sarebbe una legge viziata da incostituzionalità e iniqua alla luce del giusto diritto. Gli attivisti gay forzano la logica nel sostenere di essere discriminati perché non possono sposarsi. Al contrario, infatti, la ragione, in accordo con la natura, con i convincimenti degli omosessuali, con i precetti costituzionali, impone di concludere che il “coniugio” deve essere riservato al rapporto legale tra maschi e femmine.

Per negare legittimità matrimoniale ai legami tra gay bastano il giusto diritto e la retta ragione. Stupisce che le “nozze” gay siano censurate con fragili sociologie anziché con i solidi argomenti disponibili. E i gay fanno torto alla loro sensibilità e intelligenza quando accusano di omofobia quelli che sostengono l’illiceità del matrimonio tra persone dello stesso sesso. In primo luogo, perché non tutti gli omosessuali desiderano sposarsi con il timbro del municipio. Poi, perché la loro relazione può ben essere regolata in modo positivo, in senso reale e metaforico, mediante altre forme legali confacenti al peculiare carattere della relazione stessa.

 Infine, perché gli omosessuali posseggono per diritto di natura, come esseri umani, senz’alcuna riserva o eccezione, la stessa dignità individuale e sociale degli eterosessuali, anche senza possibilità di contrarre matrimonio tra loro. Questa conclusione (filosoficamente, oserei dire, inoppugnabile), non è né contraddetta né scalfita dalla constatazione che numerosi ordinamenti hanno riconosciuto legalmente alle coppie omosessuali lo status di coniugi equivalente alle coppie eterosessuali.

Tale riconoscimento resta due volte ingiusto, per i gay e per i non-gay, benché avallato da una maggioranza parlamentare o da un’autorità amministrativa. Uniti per legge, sì. Ma non come marito e moglie. La ponderazione liberale lo impone, anche contro la corrività modernista.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:47