Il Pdl e l'alternativa dei moderati

Intervistato da Maria Latella nella sua rubrica giornalistica in onda su Sky, il Premier Enrico Letta, commentando il voto con cui il suo governo ha ottenuto la fiducia dalle camere e le sue implicazioni politiche nel centrodestra, ha affermato che quanto è avvenuto mercoledì scorso chiude e mette un sigillo definitivo su di un lungo periodo della storia italiana, durato vent’anni.

Questo giudizio di Enrico Letta, che ha un enorme valore politico, merita di essere interpretato e compreso, poiché svela in che modo è destinata a mutare e cambiare la configurazione del sistema politico italiano. In primo luogo, la scelta dei ministri del Pdl e di altri autorevoli dirigenti di questo partito di votare la fiducia al governo Letta, mentre un’altra parte del suo gruppo dirigente aveva manifestato l’intenzione di sfiduciarlo, in segno di solidarietà con Silvio Berlusconi, che per effetto della sentenza di condanna al processo Mediaset verrà privato del seggio parlamentare con la decadenza prevista dalla legge, rivela che il Pdl è attraversato da divisioni profonde e laceranti. Il presidente Berlusconi, per impedire che il suo partito si dividesse frantumandosi in diversi gruppi e correnti, smarrendo la sua unità, ha deciso di votare, suscitando la sorpresa tra gli osservatori, la fiducia al governo Letta.

Questo fatto politico significa che nella disputa tra i cosiddetti falchi e le colombe, espressione ornitologica con cui sono state designate le diverse anime presenti nel Pdl, a prevalere sono state le colombe, vale a dire la parte filogovernativa del Pdl, che si riconosce nella leadership in ascesa del vicepremier Angelino Alfano. In base a questa interpretazione degli eventi politici dell’ultima settimana, e tenendo presente il giudizio politico espresso da Enrico Letta, si dovrebbe concludere che l’epoca del berlusconismo stia per volgere al termine e comunque è avviata ineluttabilmente, per le vicende processuali in cui è coinvolto l’ex premier e per la necessità di rinnovare il centrodestra e la sua classe dirigente, verso il crepuscolo.

 Tuttavia in questo momento storico appare fondamentale interrogarsi sul fenomeno politico del berlusconismo, che ha lasciato un’impronta profonda nella politica e nella società italiana. In uno dei suoi ultimi scritti, un grande politologo e studioso, Gianni Baget Bozzo con grande intelligenza osservò che il successo politico di Berlusconi bisognava descriverlo adoperando una categoria di pensiero derivante dall’opera di un grande pensatore come Carl Schmitt, il famoso “Stato d’eccezione”. Grazie alla sua capacità di comunicare e cogliere i bisogni di una larga parte dell’elettorato italiano, con un linguaggio diverso da quello usato dai politici di professione, il presidente Berlusconi è riuscito ad imporre la sua leadership carismatica, stabilendo un legame profondo tra la sua figura e il suo elettorato di riferimento.

Per alcuni studiosi, sia il conflitto di interesse, sia l’anomalia del partito azienda di Berlusconi, hanno impedito, negli anni successivi alla fine della guerra fredda, che in Italia, come è avvenuto nelle maggiori democrazie occidentali, vi fosse una destra moderna, moderata, costituzionale e autenticamente liberale ed europea. Ora è giusto chiedersi, mentre è ancora incerto se si formeranno gruppi autonomi alla Camera e si sgretolerà l’unità politica del Pdl, viste le divisioni che tuttora esistono al suo interno, se la dissidenza, che è nata contro la direzione politica di Berlusconi del Pdl, saprà e riuscirà a dare vita ad un centrodestra che abbia e possieda la netta e innegabile connotazione liberale, e che sia, nello stesso tempo, riformatore e costituzionale.

 Perché questo accada, come ha notato lucidamente in una suo profondo editoriale apparso domenica scorsa sul Corriere della Sera, Ernesto Galli della Loggia, è necessario che il gruppo dirigente, che ha l’ambizione di creare un nuovo centrodestra, sia in grado di proporre una valida e credibile alternativa alla sinistra. Berlusconi, al quale si deve attribuire storicamente la responsabilità della mancata rivoluzione liberale, promettendo la quale si era presentato in politica nel lontano 1994, è stato capace di esprimere una leadership alternativa alla sinistra. Infatti è riuscito, questo il suo innegabile merito politico, a testimoniare, nel corso di questi vent’anni, la sua estraneità a quello che Ernesto Galli della Loggia ha chiamato, efficacemente, l’universo antropologico della sinistra.

Infatti uno dei caratteri presenti nella destra europea è dato dalla diffidenza del suo elettorato verso la dimensione della politica e i suoi rituali bizantini, da Silvio Berlusconi descritti come una sorta di teatrino incomprensibile. Inoltre, vista l’egemonia che la sinistra esercita sul senso comune e la cultura italiana, facendo riferimento costante alla costituzione, ai diritti, alla legalità, all’Europa, Berlusconi nel discorso pubblico, sia pure con i limiti da tutti riconosciuti, è riuscito con la sua narrazione ad esprimere il valore dell’individuo e quello dell’autonomia della persona rispetto allo Stato, secondo la cultura liberale.

 È fondamentale riconoscere che nel nostro Paese per lunghi anni è stato difficile e quasi impossibile parlare dei valori e dei principi della destra, poiché si correva il rischio di apparire nostalgici del ventennio fascista, con cui la destra nel nostro Paese è stata identificata per ragioni culturali e storiche. In questo momento, sempre in base alle diverse analisi che questa fase della vita politica sta sollecitando e favorendo, per altri osservatori, la fine e il crepuscolo del centrodestra e della leadership berlusconiana, potrebbero generare la risurrezione del grande centro democristiano. Questa previsione appare arrischiata e priva di fondamento, poiché ignora la circostanza essenziale che oramai sia il bipolarismo sia la democrazia dell’alternanza si sono radicati profondamente nella coscienza e nell’immaginario collettivo del nostro Paese.

Infatti il grande centro e l’esperienza storica della Democrazia Cristiana presupponevano sia l’unità politica dei cattolici sia la divisione ideologica tra liberali e marxisti, posizioni e orientamenti culturali entrambi assenti ed eclissatisi nel nostro Paese, per lo sviluppo che ha avuto sia la storia italiana degli ultimi anni sia quella europea. È giusto e legittimo sperare che vi sia in Italia, dopo la lunga stagione dello stato d’eccezione dominata dal presidente Berlusconi, un centrodestra riformatore e liberale; il quale, nel rispetto della costituzione repubblicana, sappia proporre all’elettorato moderato, che rappresenta la maggioranza degli italiani, una credibile alternativa alla politica perseguita dalla sinistra.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:44