Matteo Renzi e i nuovi bagliori

Non si tratta di alimentare il sistema politico di intelligenze, di personaggi ricchi di conoscenze, di creatività, di istruzione. Si tratta di modesti consigli per gli acquisti non di beni e servizi, ma di sogni, di illusorie speranze, di fortificare il fanatismo per il partito del cuore, che ha collezionato sonore sconfitte. Non per la forza dell’avversario, ma per l’inettitudine e inabilità politica dei capitani che si pongono alla guida di un partito, che spesso cambiato il brand, ma geneticamente incapace di cambiare e essere moderno. La responsabilità si divide a metà tra i leaders e i militanti, fondamentalisti e fanatici, destinati a ripetere stancamente il rituale illusione-sconfitta.

Ed ecco il nuovo “motivatore” Matteo Renzi, che aiuta a scoprire il meglio della sinistra, ad aiutare a ritrovare l’identità perduta, a riempire lo spazio tra chi sei e chi potresti essere. Una operazione sartoriale fatta di chiacchiere al vento, di provocazioni e qualche sogno nel cassetto. Insomma, il solito... Una grande bellezza. Tuttavia, il pubblicitario-politico si fa seguire: i concorrenti di partito lo imitano, gli avversari lo blandiscono, l’estrema sinistra lo critica, l’establishment economica attende fiduciosa. La più bella l’ha sparata quando ha raccontato al popolo rosso festante che vuole vincere le elezioni. Una novità esplosiva, una scoperta stellare. Indicare che un partito deve vincere le elezioni è di quelle nuove proposte che ti cambiano la vita, che ti riconciliano con le tante delusioni che resettano il passato e ti prospettano un futuro luminoso.

Si può ridere sul dolore della pochezza, sulle umiliazioni dell’intelligenza? Non si può, bisogna reagire per la semplice ragione che il basso livello di questo o quel partito fa riflettere sul livello di tutto il sistema, con danni diffusi e irreparabili. Pochi mesi fa i soci della gloriosa ditta Pd (ex Pds) erano tutti per Bersani, che ha raccolto circa un modesto 25%. Ora si cambia cavallo, ma la narrazione politica è sostanzialmente la stessa: noi siamo “i migliori” (perdenti) e la nuova sconfitta è dietro l’angolo. La sconfitta elettorale colpisce il benessere emotivo e psicologico dei militanti, crea uno stato di avvilimento morale insopportabile, un disturbo serio dell’identità del partito, un’umiliazione personale per non poter svolgere il ruolo dei maestrini nei confronti di chi non la pensa in modo uniforme. La denigrazione avversa genera un delirio di festa quando si profila la rivincita.

Non è necessario per sottrarsi alle chiacchiere inutili e insulse di Renzi (come pure del suo concorrente Civati) ai controlli della ragione, come pure alla scelta “rivoluzionaria” di dare voce al corpo delle idiozie provenienti dalle assemblee dai militanti del Pd che stoltamente dichiarano di occuparsi del bene del Paese, mentre sono intenti a cogliere l’occasione offerta dalla Magistratura per decapitare il maligno e prepararsi ad una nuova sconfitta elettorale, per poi cambiare di nuovo il portabandiera con un altro che si presenterà come nuovo e percorrerà lo stesso percorso di Bersani e di Renzi (forse).

Le parole provocatorie e pungenti che il buon Renzi elabora nel poco materiale archiviato nel suo sapere, simulando uno spirito critico e corrosivo, è la conferma dell’accettazione passiva delle tifoserie di sinistra interessate solo ad effimere vittorie, ignorando la realtà dei fenomeni economico-sociali e dei problemi da risolvere per il vero bene degli italiani. L’ingegnosa operazione di Renzi è tutta rivolta a riscuotere il favore dei militanti del Pd, che nelle precedenti primarie hanno scelto Bersani. Uno spettacolo ridicolo. Una volgare operazione di marketing politico senza prospettive, omologa a quelle del tanto criticato Berlusconi.

l popolo, la gente, non ha e non può avere una particolare acutezza di spirito, una conoscenza approfondita dei problemi e delle soluzioni. Il popolo, la gente pensa a riconoscere ciò che gli viene comunicato. Non è vero che il comunicatore raccoglie il sentire della gente, le opinioni dei cittadini. È il comunicatore, l’informatore che forma le opinioni della gente, indirizza le scelte, definisce il vero dal falso, detta la soluzione dei problemi, interpreta le leggi, orienta le appartenenze politiche. Il comunicatore è il politico, il giornalista, il prete, l’intellettuale, noto professore in ogni caso colui che ha accesso ai mezzi di comunicazione di massa (giornali, tv, radio) e può influenzare “il sentire della gente”, immettere concetti e valori di ciò che può percepire. Il popolo subisce la tirannia del pensatore occulto.

È inelegante citarsi, ma una deroga mi sembra opportuna per invitare i giornali del Pd (Renzi, Civati, Serracchiani), come il vecchio sindacalista Epifani a fare una sana autocritica, prima di emettere suoni dannosi e pericolosi. Riporto un mio editoriale del 1984 uscito su una piccola rivista (“Punto azzurro”) in qualità di direttore responsabile e intitolato “Capire l’oggi, scegliere il domani”. Ascoltiamo i tamburi della propaganda, vecchi e nuovi predicatori presentano ad intermittenza l’elenco dei buoni propositi, la riformulazione di sistemi e di dottrine.

 Con ottusa e monotona uniformità si continuano ad occupare dell’ovvio. Echeggiano le parole magiche del cambiamento, del rinnovamento, insomma del cosiddetto “nuovo”. Subiamo l’ascolto di consigli per gli acquisti: la vecchia Repubblica, una nuova Repubblica, la gente, il Paese, metodi vecchi, metodi nuovi. Pressati dalla tirannia degli opinionisti, detentori del pressappoco, aneliamo un incontro con le virtù dell’esattezza in attesa che muti l’acustica della dialettica politica. Si spera che calata la temperatura della improduttiva polemica, dei gesti rabbiosi di protesta, si possa discutere di politica, di scelte, di decisioni.

Politica come religione della ortodonzia o come ascendenze dogmatiche. Non è più tempo di praticare la politica come religione delle ortodonzie o come ascendenze dogmatiche. È mutata la composizione di classe, è definitivamente scomparsa la polarizzazione ideologica. Il vocabolario rivoluzionario ha lasciato il posto a quello dell’economia, del pragmatismo, a quello più concreto della difesa degli interessi, della salvaguardia della qualità della vita. La caduta verticale delle ideologie genera nella politica il compito di portare a soluzione i problemi.

Cresce, appunto, la consapevolezza che ciò che in effetti conta è il problema da affrontare con tutti gli strumenti possibili per portarlo a soluzione. Questo innesta un processo di specializzazione crescente che dà luogo ad una singolare esigenza di interdisciplinarità che esige un continuo ricondizionamento della cultura specifica ai termini reali del problema. Come ha detto con efficacia Popper: “Noi non siamo studiosi di certe discipline, bensì di problemi”. E i problemi possono passare attraverso i confini di qualsiasi materia o disciplina.

A conclusioni non diverse è giunto un economista come Gunnar Myrdal, il quale presenta insofferenza verso le tradizionali demarcazioni che separano rigidamente tra loro le discipline della scienza sociale: “Non esistono problemi economici, sociologici, psicologici. Di fronte ai problemi è necessario fare ricorso a tutti gli strumenti possibili; è necessario evitare ricorso al dilettantismo. Per portare a soluzione il problema occorre decidere e per decidere bisogna che qualcuno decida”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:46