Il ritorno di una Dc questuante

Il senso storico e la capacità d’analisi dei neo-centristi (quelli che vorrebbero rifondare la Democrazia Cristiana sulle ceneri del berlusconismo) è a dir poco intrisa di radicata stupidità. Il berlusconismo non solo non è morto, anzi coverà sotto le ceneri dell’arte italiana di amministrare per almeno altri cento anni. Anni fa chiesi ad una signora francese cosa non gradisse di Silvio Berlusconi. Senza mezzi termini la donna affermava “le berlusconisme s’est glissè comme le bonapartisme”, il berlusconismo s’insinua come il bonapartismo.

La dama, di evidenti sinistre simpatie, aggiunse che “per veder tramontare la setta dei bonapartisti nella pubblica amministrazione necessitò attendere l’avvento di De Gaulle”. Il gollismo accantonò, storicizzandolo, il bonapartismo. Non è un caso che, anche in Italia, si debba a Berlusconi la rediviva unità delle destre, dei partiti identitari, nazionalisti… Silvio ha archiviato Benito Mussolini, chiudendo quel percorso craxiano che permise a missini e socialisti di riunificarsi nel “Socialismo Tricolore”. E quanti scrittori, da Victor Hugo in poi, ci hanno narrato quanto duro fosse a morire il bonapartismo nella buona borghesia francese, che serbava sempre (e lontano da occhi indiscreti) un marmoreo busto dell’“italiano corso d’Ajaccio” (come Papini ebbe ad appellare Napoleone Buonaparte, per l’anagrafe francese Bonaparte).

All’ombra “des Invalides”, e per oltre cent’anni, degli uomini (certamente classe dirigente) hanno covato il sogno di ricostituire una Francia identitaria: ci sono riusciti con De Gaulle, e il gollismo ancora resiste Oltralpe. Lasciando perdere i vari pettegolezzi, che vorrebbero il mausoleo di Berlusconi già edificato, e tanto simile a “des Invalides”, è evidente che quella del Cavaliere sia l’unica personalità politica che abbia riempito il vuoto istituzionale causato dal crollo del CAF (Craxi-Forlani-Andreotti). E sinceramente l’immagine dei traditori, che frettolosamente s’azzuffano per primeggiare nelle dichiarazioni di tramonto del berlusconismo, tanto ci rammentano quella dirigenza imperiale francese che, dopo Waterloo, si precipitava a fare il bacio della pantofola presso le corti europee.

 Ma nel caso B-B (Berlusconi-Bonaparte) le similitudini sembrano non volerci proprio abbandonare. Duecento anni fa, nell’ottobre 1813, Napoleone subiva la sconfitta di Lipsia (conosciuta anche come “la battaglia delle nazioni europee”, la Leipzig tedesca): uno scontro apocalittico, sia per forze impegnate che per perdite e tradimenti. Come la disfatta francese si compì nella campagna di Germania, altrettanto quella dell’Italia berlusconiana si consuma nell’Europa economica della Merkel. Per Bonaparte in tanti tramarono perché crollasse il suo sistema di alleanze e appoggi in Europa, per Berlusconi hanno remato contro le strategie internazionali delle superpotenze finanziarie (banche, Moody’s).

Ma quella d’ottobre è per Silvio Berlusconi una sorta di sconfitta di Lipsia, e non è detto che in primavera la Waterloo elettorale non possa toccare alle armate unite di democristiani, comunisti e centristi vari. Difficilmente un Alfano che sale sulle spalle di Letta potrà fare ombra a Berlusconi. E poi qual è il progetto di Alfano, Casini, Letta, Formigoni… e centristume vario? Non è forse quello di una Diccì di sinistra filoprodiana? Quello di un centro servo della Cdu tedesca, capace solo di presentarsi a Strasburgo e Bruxelles con le pezze al culo e il cappello in mano.

Il ritorno di una Dc questuante non rilancia certamente l’economia. Soprattutto trasformerebbe l’Italia nel quarto mondo d’Europa. Il primato dell’industria italiana è ancora possibile attraverso la rivoluzione berlusconiana: questo lo sanno bene i traditori del Cav, che preferiscono sistemarsi le poltrone piuttosto che salvare l’Italia.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:26