
Ci sono milioni di cittadini italiani che da vent’anni, ripetutamente e nonostante tutto, votano Silvio Berlusconi. Grazie a questo enorme consenso, che ha avuto oscillazioni dal 25 al 40%, nelle ultime legislature sono stati nominati in parlamento, grazie al porcellum, centinaia di parlamentari. Alcuni provenienti dagli enti locali, politici che godevano sicuramente di un certo consenso – ma non più che un pugno di voti rispetto ai milioni del Cavaliere – e altri che, se si candidassero in qualche municipio, probabilmente non verrebbero neanche eletti.
Ma fin qui nessun problema: i voti sono di Berlusconi, decide lui la linea e i candidati. I milioni di elettori stanno a guardare e poi di elezione in elezione decidono se rinnovare o meno il consenso al partito, anzi a Berlusconi. Ora tutto è cambiato, la linea non la decide più lui, anche se, fino a prova contraria, i consensi raccolti fino ad ora sono ancora quasi tutti i suoi. Perché, sia chiaro, a parte qualche centinaio di migliaia di preferenze di qualche vecchio capocorrente ex An o ex Dc, che a livello nazionale farebbero scattare forse un paio di seggi, i milioni di voti sono di Silvio Berlusconi. Di qui si spiega come mai, dopo la spaccatura sulla crisi di governo, pur avendo i numeri, i gruppi autonomi alla Camera e al Senato dei cosiddetti “dissidenti” stentano a decollare e probabilmente non verranno formati. Perché è chiaro che una scelta del genere presuppone poi che, alle prossime elezioni politiche, questi gruppi autonomi si trasformino in partito e che si presentino con un simbolo – fosse anche quello del Pdl – ma senza Silvio Berlusconi.
E lì le centinaia di migliaia di preferenze non bastano, lì ci vogliono milioni di voti d’opinione e il rischio del flop è dietro l’angolo. E questo lo sanno tutti. Allora che fare? La cosa più semplice, il congresso del Pdl/Forza Italia. Un congresso vero, il più aperto e democratico possibile. Il partito, infatti, non è solo spaccato sulla durata del governo Letta, ma anche sulla strategia politica per il Paese. Solo un esempio: c’è da un lato chi vuole rifare un partito centrista, una specie di nuova balena bianca, riproporre il sistema proporzionale con le preferenze, abiurare qualsiasi dibattito sui cosiddetti temi eticamente sensibili, libertà personali, sessuali ecc., e c’è dall’altro Berlusconi che, rinvigorito, ha firmato qualche settimana fa tutti i referendum radicali. Egli, così ha espresso chiaramente, con quelle 12 firme, il principio liberale del contraddittorio, il raggiungimento del quorum per garantire così il voto e la libertà di scelta dei cittadini anche su temi sui quali ha dichiarato di non condividere gli obiettivi dei proponenti.
Anche su questo elementare principio liberale, giova ricordarlo, i dirigenti del suo partito non lo hanno seguito fino in fondo, boicottando 6 su 12 referendum e garantendo un sostegno marginale, nonostante le roboanti promesse, solo su quelli riguardanti la giustizia. Inoltre Berlusconi parla di un ritorno a Forza Italia, allo spirito del ‘94, alla rivoluzione liberale, quindi al presidenzialismo, allo stato minimo, alla riduzione delle tasse e della spesa pubblica, alle libertà economiche, al sistema americano, al turno unico, al maggioritario, perché questo era la Forza Italia del ‘94, una forza laica, liberale e liberista senza se e senza ma. Sappiamo tutti, invece, che nel partito convivono visioni diverse anche in politica economica, non dimentichiamoci gli scontri con Tremonti e il suo “mercatismo” da eliminare, le componenti stataliste della destra sociale che tuttora orgogliosamente considerano il liberismo un male, anziché la soluzione e così via.
Un grande partito, in una situazione del genere, indice il Congresso, vota le mozioni e magari, finalmente, decide, se fare o no, dopo vent’anni di promesse, di ostacoli e di veti la riforma liberale dello Stato e dell’economia. E se ci sono visioni diverse le dibatte alla luce del sole, ridando slancio alla propria azione riscoprendo il valore alto e nobile di fare politica. Un Congresso di fronte al Paese e alla propria base che sia capace di riabilitare l’immagine del centrodestra italiano, che in troppi hanno voluto offuscare, anche in Europa e nel mondo. Un grande evento politico, con votazioni aperte a tutti gli iscritti che vorranno liberamente parteciparvi e non una squallida conta delle truppe cammellate e dei voti per delega. Un dibattito alto dove si chiarisca la linea politica del partito e soprattutto la visione strategica circa il futuro del Paese e dell’Europa. Una vera sfida democratica sulle idee per l’Italia.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:01