
Per l’Europa che si taglino posti di lavoro nel pubblico o nel privato non ha granché importanza: perché secondo i soloni di Strasburgo “in Italia è eccessiva la commistione tra pubblico e privato”. Ecco che questa visione europea dell’Italia ha influenzato l’ultima sentenza europea in merito ai comuni italiani in dissesto: in caso di fallimento delle amministrazioni locali, da oggi toccherà allo stato centrale dover rispondere patrimonialmente.
Una sentenza europea che, solo in apparenza salva i comuni in dissesto, di fatto accelera la scivolata dell’Italia verso le procedure fallimentari. A Strasburgo tutto era cominciato dinanzi alla “Corte dei diritti umani”, che aveva accolto il ricorso di Giovanni De Luca e Ciro Pennino: rispettivamente di 86 e 78 anni, in credito di complessivi 64mila euro dal Comune di Benevento. L’amministrazione beneventana si era dimostrata insolvente al punto di venir condannata per bancarotta. Il Comune contava sulla linea dell’Avvocatura, e sul fatto che per l’interesse di due cittadini difficilmente un tribunale può mandare in fallimento un ente pubblico.
Ma a Strasburgo, sicuri che ben presto toccherà nominare i curatori fallimentari dell’intero “Sistema Italia”, hanno emesso la sentenza che potrebbe portare a morte l’intero Stivale entro la prossima primavera. Ora lo Stato italiano è tenuto a pagare (nei tempi rapidi in uso in Germania, Olanda e nord Europa) i debiti dei Comuni insolventi. E qualora lo Stato faccia orecchie da mercante, la corte europea è già pronta ad iscrivere tra i creditori preferenziali e chirografari privati cittadini, enti, società di capitale, banche, società e Stati esteri.
Per la Corte europea dei diritti è ormai finita la fase dell’Italia che regola i propri debiti senza dar conto all’Unione Europea. Ma veniamo al sassolino che ora rischia di far abbattere una valanga sul sistema italiano: due anziani vantavano complessivamente crediti per circa 64mila euro dal Comune di Benevento, e fin dal 1993, quando l’amministrazione sannita era andata in dissesto finanziario. Avevano infatti vinto (Pennino nel 1987 e De Luca nel 1992) una causa contro il Comune. Però, dopo la dichiarazione di bancarotta, era stata nominata una “commissione straordinaria per la liquidazione”: organismo all’italiana, utile ad inceppare i pagamenti e imbrogliare le carte. Sulla “commissione straordinaria per la liquidazione” i due non potevano assolutamente agire, e in base a una legge italiana che limita le azioni dei privati che tentano ingiunzioni di pagamento verso enti pubblici.
Ma il credito dei ricorrenti, ricalcolato con gli interessi, nel frattempo era lievitato rispettivamente a 24mila e 40mila euro. Contro i due poveri anziani s’è mossa pure l’Avvocatura dello Stato, certa di riuscire a far perdere ogni speranza ai ricorrenti. Ma la Corte europea ha respinto l’argomentazione dell’Avvocatura italiana. Secondo quest’ultima, “la eccezionale circostanza dell’insolvenza dell’ente locale giustificava il fatto che non era stato possibile onorare i debiti”. A questo s’aggiunge che per lo Stato italiano su quei crediti si dovevano valutare particolari iter prescrizionali, che invece non varrebbero quando il creditore è l’ente pubblico.
Una disparità di trattamento che non ha convinto i giudici di Strasburgo, che hanno motivato che “come organismo dello Stato una autorità locale non può usare le sue difficoltà finanziarie come scusa per non onorare i propri impegni”. Non sono mancati i commenti del tipo “in Italia il cattivo pagatore è lo Stato e il cittadino subisce e s’adegua”. Ma in Italia ne parlano in pochi, sembra che non si voglia far sapere alla gente che per Strasburgo lo Stato ha torto ed i cittadini ragione da vendere.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 10:39