
In un articolato editoriale uscito domenica sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista si chiede retoricamente dove siano finiti i "moderati" e perché, davanti all'ultimo azzardo berlusconiano, non scelgano responsabilmente di mollare il proprio leader e continuare a sostenere il governo di larghe intese presieduto da Enrico Letta. Battista ha molte ragioni, e molte volte le sue analisi sono sembrate lucide e prive di quella spocchia salottiera tipica di certi editorialisti chic.
Però, prima di rispondere alla domanda su "dove" siano i moderati, occorrerebbe chiarire una volta per tutta "chi" e "cosa" intendiamo indicare con questa categoria politica evocata ad ogni crisi e ad ogni elezione come se si trattasse di qualcosa di mai conosciuto e di mai manifestato. Silvio Berlusconi ha molti difetti. Su tutti quello di continuare a ritenere che il suo destino personale coincida con quello della nazione, meravigliandosi ogniqualvolta il pensiero mainstream tende a dimostrargli il contrario. Nello specifico riteniamo che la sua convinzione sia reale per metà e che, ormai, i suoi destini personali tendano a divergere da quelli collettivi del paese.
Questione di narrativa, più che di sostanza: ma tant'è. Nel 1994, però, Berlusconi riconobbe quello che tutti gli osservatori politici ed istituzionali si ostinavano a negare: anche in Italia esisteva ed esiste un blocco sociale, economico, politico e - latu sensu - culturale che si ostina a rifiutare l'idea di consegnarsi mani e piedi alla sinistra e alle sue ricette egualitariste e stataliste. Un'Italia che guarda con favore a chi ce la fa nella vita, che non vuol veder penalizzata la ricchezza, che, fieramente anti-statalista, quando sente le parole "Pubblica Amministrazione" pensa a un guaio e non alla possibilità di ricavarne un beneficio.
È un'Italia che ha sempre vissuto ai margini della narrazione politica tradizionale e che Berlusconi ha prepotentemente fatto diventare protagonista e decisiva. Non sappiamo cosa siano i moderati o dove stiano nascosti ma sappiamo per certo che cosa non sono. Non sono e non saranno mai gli imprenditori salottieri e gli intellettuali organici che piacciono ai grandi giornali. Sono, piuttosto, un popolo pragmatico e poco incline alla chiacchiera che tende a votare e a farsi rappresentare da chi, quantomeno, ne riconosce l'esistenza. L'unico che fino ad oggi ci ha provato è stato Berlusconi.
Con tutti i limiti che siamo sempre stati pronti a riconoscere e con la consapevolezza che un ciclo politico volga ormai al termine. Ma con una convinzione: quando i "poteri belli e presentabili" (a quelli "forti" non abbiamo mai creduto) hanno cercato di scegliere un leader e di imporlo al popolo "moderato", hanno sempre sbagliato cavallo. Da Mariotto Segni a Mario Monti, passando per Luca Cordero di Montezemolo e Gianfranco Fini. Di Berlusconi hanno sempre osteggiato l'esuberanza da outsider.
Quella che, invece, comprende e condivide il popolo di centrodestra. Un popolo che forse non lo seguirà in quest'ultima battaglia ma che, certamente, non lo pugnalerà alle spalle. I moderati, qualsiasi cosa siano, sanno che un pezzo della loro storia sta anche nella parabola politica di quell'imprenditore brianzolo. Un signore troppo vero per essere bello.
Tratto da www.notapolitica.it
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:52