
“Si può fare poco o nulla per fermare il passaggio di Telecom in mani spagnole - dicono Enrico Letta e dintorni - comunque l’azienda rimane in salde mani europee”. Evviva, non è finita in mani cinesi e nemmeno indiane. Più che di vittoria di Pirro è il caso di parlare di abnorme presa per i fondelli. I beninformati, quelli che di truffe finanziarie ne capiscono, parlano d’una fuga dall’Italia di grandi aziende e capitali.
La corsa sarebbe iniziata sotto il governo Monti e continuata con Letta: consisterebbe nel mettere al sicuro i patrimoni aziendali delle grandi famiglie italiane, dei colossi pubblici, delle industrie strategiche in campo comunicazioni, energia ed alta tecnologia. Ma mettere al sicuro da cosa? E’ ovvio, dal fallimento dell’azienda Italia. Infatti per Bruxelles lo Stivale andrebbe trattato come una qualsiasi azienda. Nel caso di fallimento l’intero monte immobiliare italiano (sia pubblico che privato) come del resto aziende e qualsivoglia cespite di diritto italiano verrebbe tirato per i capelli nella procedura fallimentare.
Ovvero, ogni bene che non sia nel frattempo già passato in mani straniere o che non appartenga ad italiani che ormai pagano le tasse all’estero (valga l’esempio della Fiat ormai di diritto britannico come di altre imprese ex italiane che pagano da tempo le tasse nel Regno Unito) verrebbe avocato alla procedura fallimentare che, ovviamente, si discuterebbe in sede europea e con periti e curatori tutti di gradimento della Bce. Ergo, le acquisizioni di aziende estere da parte dei Benetton, come il trasferimento a Londra del 40% delle imprese italiane con più di 1000 dipendenti, fa parte della strategia di fuga. L’Italia deve fallire, a patto che nel frattempo non perisca la politica tedesca che s’allarghino le maglie dei parametri europei su prodotto interno lordo e debito.
Va aggiunto che, dal governo Monti a quello Letta, hanno imperato le bugie agli italiani, del tutto simili ai complimenti sulla buona salute che certi medici rivolgo a chi segnato da male incurabile. Se si fosse mostrato il baratro, e in tutta la sua sconvolgente realtà, molte più famiglie si sarebbero potute salvare: anche solo migrando per tempo in nazioni extraeuropee. Invece le apparizioni in pubblico della classe dirigente hanno ventilato il miraggio d’una ripresa, tra fine 2013 e primi 2014, che solo ora assume le tinte d’una bieca bugia.
Eppure chi ha le redini dello Stivale sa bene che dall’Europa avevano più volte chiesto di raddrizzare i conti e la bilancia dei pagamenti, e alleggerendo l’Italia di un altro milione di stipendi: il fatidico piano disoccupazionale alla greca, che nella vicina nazione ellenica prevedeva solo 300mila disoccupati (bella cifra per un paese mediterraneo fatto da isolette e che non conta più di 5 milioni d’abitanti). E’ emerso che in sede europea ragionano come la Morte nella pellicola Brancaleone all’ultima crociata: perché i conti tornino, poco importa se la falcidie di posti di lavoro avvenga nel pubblico o nelle grandi imprese.
L’importante è che avvenga. In cuor suo Don Abbondio Letta s’è levato un grosso scrupolo: nessuno lo potrà accusare d’aver disoccupato gente. Infatti l’acquisizione di Telecom da parte della telefonica spagnola già prevede un taglio di 20mila unità in Italia. Discorso similare per Alitalia che passa ad Air France: i cugini d’oltralpe contano di ridurre ulteriormente il personale in Italia. Stesso discorso dovrà avvenire con le aziende dell’ex polo Riva, poi con Eni, Enel, Fincantieri, Finmeccanica, Trenitalia… Il piano è permettere l’acquisizione straniera di tutto ciò che vale, e per scaricare la politica di ogni responsabilità e permettere che il piano licenziamenti lo facciano gli stranieri.
Verrebbero così sacrificate le postazioni stipendiarie tra i 1000 ed i 1500 euro, evitando che a pagare il fallimento dell’Italia sia la media borghesia statale ed alto dirigenziale. Questi ultimi non sfuggirebbero comunque alla mannaia Ue, e per via delle case di proprietà, su cu cui potrebbe comunque cadere una sorta d’ipoteca europea iscritta presso la Bce.
Il crimine politico è evidente: in Italia non è solo stato decapitato il merito, ma anche la propensione a produrre, al lavoro. Una sorta di giogo sindacal-politico ha funto da disincentivo all’impresa, puntando su una parassitaria sostentazione del pubblico attraverso una perversa fiscalità. Il “made in Italy” è morto, non sappiamo più produrre auto da corsa, vestiti eleganti, barche di lusso, belle scarpe: artigiani ed industriali hanno trasferito il know-how di queste ricche mercanzie (la manifattura italiana) nei paesi extra Ue.
Vale per tutti l’esempio della Fiat, azienda britannica: il miliardo che investirebbe a Mirafiori per la “creazione del polo del lusso”, parola di Marchionne, è un qualcosa di effimero. Infatti il primo progetto sarebbe un suv con marchio Maserati. Gli esperti ben sanno che la componentistica dei suv può prodursi in Cina, Usa e India, e non richiede certo la competenza dei mastri tornitori d’italiana memoria: ovvero quelli che hanno fatto grande il “made in Italy” con le mitiche fuoriserie del passato. Secondo l’Ad di Fiat, per la debolezza del mercato europeo, anche “Psa Peugeot-Citroen, Ford e General Motors, chiuderanno con perdite di 5 miliardi di euro”.
Scuse pelose: perché il “piccolo sacrificio” non rimarrebbe nei confini nazionali, e poi tutti ricordano Marchionne che parafrasava Ford nel suo “sogno di costruire una buona Alfa Romeo a Detroit”. Fiat già produce l’80% della fascia utilitaria in Polonia, Brasile e ben altri cinque paesi extra-Ue. Il sistema Chrysler è già in grado di produrre negli Usa Alfa Romeo, Maserati e Lancia: parallelamente, alla Fiat converrebbe più produrre le Ferrari nel Regno Unito, dove le tasse sono più basse e, soprattutto, regna una forte privacy sulla clientela del Cavallino.
Ferrari ed altre auto di lusso non vengono più acquistate dai ricchi italiani in Italia. Perché nessun ricco gradirebbe finire sui giornali grazie al sindacalista che passa la “lista prenotazioni” a giornalisti e Fiamme gialle. L’Italia sta fallendo, e per colpa di politici e sindacalisti rossi, con la complicità di magistrati e giornalisti comunisti.
Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:02