L'incompetenza che assicura una poltrona

Come si fa a diventare nell’Italia gerocontocratica presidente di un’associazione di categoria? Innanzitutto non bisogna essere operatori di quel settore, né esperti tecnici. E’ utile essere figlio di persona nota, importante con competenze non dirette, ma diciamo di contorno. Per esempio, per diventare capo del cinema va bene un padre noto commediografo dialettale (a tempo perso per carità, con un redddito sicuro da funzionario pubblico). Si può cominciare scrivendo da ragazzi su qualche giornale, meglio se giornale di partito.

 Non è troppo difficile poi diventarne il critico teatrale. Probabilmente il giornale è moribondo, ma permette di entrare nella rete delle conoscenze. Così il giovane critico teatrale, che non ha mai fatto l’attore, l’autore, il coreografo e nemmeno il cattivo Mangiafuoco, imprenditore teatrale, diventa segretario portaborse del direttore di un piccolo teatro, che ha una fama così grande da valorizzare chiunque vi si trovi anche per caso dentro, il Piccolo. Al portaborse vengono dati compiti piccolini, capaci di fare curriculum senza grossi rischi, come portare cultura nelle scuole medie superiori, facendo recitare i liceali.

Dietro il direttorone, come si fosse un corpo solo, si passa dal Piccolo alla Scala. Sono passati dieci anni intanto, si sono conosciute tante persone, si è imparata l’arte di ascoltare e dare sempre ragione. Si merita d’essere nominati amministratori delegati, di un’impresa che, essendo discografica, con teatro e spettacolo non c’entra niente; ma che vuol dire. La persona in questione non ha mai creato un’azienda, non ha mai fatto gavetta, non ha mai dovuto vendere e produrre niente. Però sa come gestire un’impresa ed il suo personale, sono doti di natura. L’impresa tanto è pubblica, della Rai; se va male, il rosso lo coprirà lo Stato. Si viene premiati per belle e pie azioni, di corredo al business core, fintanto che si viene promossi alla direzione musicale del più importante evento divulgativo d’arte del paese.

 Riassumendo, il teatro dramnaturgico, poi il teatro lirico, poi la musica leggera, poi l’arte rarefatta. Come se un ingegnere esperto nella fabbricazione di scatolette alimentari di tonno, vennisse fatto capo pilota di una flotta di pesca di tonni, poi responsabile del design delle navi da crociera. Un filo c‘è, un link c’è ma è sottilissimo. Fortunatamente soldi pubblici ed un milieu di salotti lo rende d’acciaio. Nei luoghi d’arte, il nostro, reduce da un giornale di partito che è stato, assieme al secondo affondato, vilipeso, distrutto, calunniato, pubblicoludibriato, sale a livelli artistici mai toccati, in quanto non tocco del disastro dei suoi ambienti di origine.

Memore di una tradizione mai difesa, s’eleva nel mix di musiche colte e popolari, anticipando, prima ancora dei generi sessuali, la fine delle distinzioni di quelli musicali. A questo punto al non imprenditore, al non attore, al non autore, al non coreografo, al non regista, al non produttore, al non amministrativo sono aperte le porte per ogni cosa. Passa da una direzione teatrale all’altra, Bologna, Scala, Regio; entra in Parlamento. Gestisce la Scala per 15 anni, superando ogni record a parte quello storico di Ghiringhelli.

Trasforma l'Ente Autonomo in fondazione di diritto privato. Vorrebbe che non fosse sua intenzione, vorrebbe dire che sono ordini di scuderia, voluti dagli stessi membri di quel milieu di quel giornale, sostenitori illo tempore di socialistici enti pubblici. Invece no: la trasformazione in ente privato la prepara proprio lui, il sovrintendente assieme all’immancabile rettore della Bocconi: la firma, come non potrebbe? Prodi che tanto ha controfirmato per il bene del popolo e del lavoratore italiano.

 Si “favoriranno l'ingresso di finanziatori privati nell'Istituzione”; certo, se sono sicuri anche i soldi pubblici, 40% del Fus per 13 fondazioni liriche. Sono gli anni in cui i teatri stabili dalla pubblica Eti passano alla privata associazione Platea. Malgrado che lo Stato se ne sia disfatto, c’è sempre la necessità per sopravvivere dei soldi di tutti. 4 milioni di biglietti non bastano, neanche affidarsi alle Fondazioni. L’ultimo intervento, quello atteso dal governo Letta, vale 75 milioni indispensabili solo per salvare La Pergola, oltre ai 3 milioni annui dati dalla Regione.

 Il nostro, dopo tante imprese, tanti teatri ha solo 66 anni, un ragazzino nell’Italia napolitana. Passava noiosi pomeriggi scrivendo sul Corrierone, un bel salto dalle recensioni sui drammi sulla Kuliscioff interpretati dalla Proclemer. Ora viene premiato con la presidenza dell'A.G.I.S. (Associazione Generale Italiana dello Spettacolo). L’Agis è un continente, unico nel suo genere nel panorama europeo, 30 associazioni nazionali di imprenditori dei comparti cinematografico, musicale, show-danza, teatrale, circense e di spettacolo popolare.

Inutile dire che esercenti e produttori cinematografici portano la gran maggioranza dei fatturati. L’occasione è unica anche per il neopresidente di fare un’esperienza nuova: magari promuovere un film sulla sua storia, come esempio e tentazione alle generazioni future. Si può essere così e le generazioni dei padri sono state così. Purtroppo cari giovani, tali fortune a voi non toccheranno. Il paese può essere distrutto una volta soltanto. Critica Sociale, residuo delle postazioni socialiste che furono, bombardate da ogni parte, celebra in questi giorni con le parole di Gianluigi Da Rold, la scomparsa di Santerini, ricordando come egli stesso, Santerini e Tobagi furono negli anni ’70 attaccati in quanto craxiani, socialisti rampanti.

Dopo l’assassinio di Tobagi, Santerini, prese il suo posto a capo della corrente di “Stampa democratica”dentro la Fnsi, fino a diventare presidente del sindacato lombardo dei giornalisti. Sotto il suo sguardo contrario e contrariato, assistette al crollo de L’Avanti, al connubo mediatico tra stampa e toga, fino all’espulsione di Farina, Feltri e Sallusti. Lui, come un leone, sempre con lo sguardo corrucciato. La criniera, sofferente, sulla poltrona.

Aggiornato il 05 aprile 2017 alle ore 11:00